Per la prima volta una collezione di organoidi derivati da diverse specie di pipistrello permette di isolare nuovi virus, studiare le infezioni e testare farmaci in un unico sistema
Dall’influenza spagnola al COVID-19, sono innumerevoli i virus di origine zoonotica, cioè trasmessi agli esseri umani da una specie diversa dalla nostra: in effetti, si stima che il 75% delle malattia emergenti sia zoonotica. E i pipistrelli sono un importante serbatoio di virus che, come hanno dimostrato epidemie passate, a un certo punto “imparano” a infettare anche gli umani, a volte approfittando di un ospite intermedio.
Eppure, della relazione tra questi virus e i pipistrelli, loro ospiti naturali, sappiamo relativamente poco; e questa mancanza di conoscenze è un ostacolo anche, per esempio, alle valutazioni del rischio di nuovi spillover. In questo contesto, gli animali da laboratorio non possono fornirci molte informazioni, per varie ragioni: questi virus non si replicano bene in specie diverse dal pipistrello né, d’altronde, altri animali potrebbero replicare le caratteristiche immunitarie uniche degli unici mammiferi in grado di volare. Infine, i pipistrelli non possono essere allevati in laboratorio. I vincoli sono sia etici sia logistici, perché si tratta di animali notturni, volatori, di lunga vita e con esigenze ambientali specifiche, quindi difficili da mantenere e studiare in modo sistematico.
Come saperne di più, allora, sulla relazione tra i pipistrelli e i molteplici virus che li possono infettare? Come ottenere un modello sperimentale realistico?
Un nuovo studio, da poco pubblicato su Science, mostra quanto preziose possano essere le New Approach Methodologies (NAM), quelle a volte chiamate più genericamente “metodi alternativi”: il nuovo lavoro, guidato dall’Institute for Basic Science (IBS) coreano, ha infatti creato per la prima volta una collezione diversificata di organoidi di pipistrello, derivati da cinque specie (insettivori dell’Asia orientale) e da quattro tipi di tessuti (trachea, polmone, rene e intestino tenue).
Un laboratorio dentro una provetta
Non è la prima volta che vengono sviluppati degli organoidi di pipistrello. È la prima volta, però, che viene fornita una collezione così vasta e diversificata: finora, la ricerca infettivologica sui pipistrelli ha potuto avvalersi di culture cellulari o, al massimo, organoidi derivati da una singola specie e di un singolo organo. Ciò che ha realizzato il gruppo di ricerca dell’IBS è decisamente più ampio e, di fatto, permette di ricostruire la fisiologia di questi animali con un dettaglio mai raggiunto prima.
In effetti, il lavoro che ricercatori e ricercatrici coreani hanno potuto svolgervi è decisamente complesso. Dopo aver validato gli organoidi, verificando che riproducessero fedelmente la struttura e le cellule dei rispettivi tessuti nei pipistrelli, hanno non solo studiato come alcuni virus noti li infettassero, ma hanno anche potuto isolare e caratterizzare nuovi virus. E per chiudere il ciclo, si potrebbe dire, hanno anche valutato l’efficacia di farmaci antivirali contro questi virus direttamente sui tessuti di pipistrello.
Dallo spillover ai farmaci: cosa possiamo fare con gli organoidi di pipistrello
Vediamo meglio i risultati principali del loro lavoro.
- Studio delle infezioni virali. Il gruppo di ricerca ha lavorato su alcuni virus chiave noti per avere i pipistrelli come reservoir, tra cui SARS-CoV-2, MERS-CoV, influenza A e hantavirus (un gruppo di virus alcuni dei quali associati a infezioni potenzialmente letali nell’essere umano). Per ciascuno hanno verificato in quali specie di pipistrello si replica, in quali tessuti e con quali effetti. Questo lavoro ha permesso di raccogliere diversi dati: per esempio, SARS-CoV-2 non si replicava negli organoidi respiratori a meno che non fossero geneticamente modificati per esprimere un recettore cellulare umano; in compenso, si è dimostrato in grado di infettare l’intestino tenue di una specie di pipistrello, il ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), a suggerire una specificità di specie. In linea generale, il lavoro sugli organoidi ha mostrato come ogni virus si comporti in modo unico, infettando solo alcune specie o alcuni tessuti – un elemento che aiuta a capire perché per alcuni sia più facile passare a specie differenti (come la nostra). Inoltre, il gruppo di ricerca ha osservato come, a seconda della specie e dell’organo infettato, il sistema immunitario dei chirotteri risponda in modo differente all’infezione.
- Isolamento di nuovi virus. Gli organoidi di pipistrello hanno anche permesso di isolare due nuovi virus a partire da campioni fecali. Anche in questo caso, si tratta di una questione tutt’altro che banale: infatti, i virus derivanti da campioni raccolti sul campo non sempre possono infettare le cellule coltivate in laboratorio, mentre la loro replicazione è enormemente favorita dall’uso di organoidi della specie ospite. In particolare, il gruppo di ricerca ha isolato un mammalian orthoreovirus e un virus della famiglia dei paramyxovirus. Il primo è un gruppo di virus di cui sappiamo ancora relativamente poco, ma che è noto per le infezioni derivanti da spillover e per la capacità di causare infezioni respiratorie, enteriti ed encefaliti nella nostra specie. Il secondo fa parte di una famiglia virale che raccoglie, tra gli altri, anche per esempio il virus del morbillo e che comprende virus capaci di infettare la trachea e l’intestino dei chirotteri.
- Test antivirali. Infine, gli organoidi, nella loro forma bidimensionale, sono stati usati per testare l’efficacia di alcuni farmaci antivirali, dimostrandosi più sensibili e predittivi delle cellule comunemente usate in laboratorio. L’uso di organoidi bidimensionali, invece che nella forma tridimensionale caratteristica, è una scelta dovuta a ragioni pratiche: per esempio, la struttura 3D può non consentire al farmaco di distribuirsi in modo uniforme. L’organoide bidimensionale, pur mantenendo le caratteristiche della specie e del tessuto di riferimento, e senza compromettere l’affidabilità dei risultati, consente di eseguire i test in modo più rapido ed efficace.
Come ha sintetizzato il primo autore dello studio, Kim Hyunjoon, in un comunicato, «Questa piattaforma ci permette di isolare virus, studiare le infezioni e testare farmaci all’interno di un unico sistema, cosa impossibile da fare con i modelli cellulari da laboratorio tradizionali. Imitando l’ambiente naturale del pipistrello, aumenta l’accuratezza e la rilevanza pratica della ricerca sulle malattie infettive».
La nuova collezione di organoidi rappresenta una piattaforma eccezionale per studiare i virus zoonotici in condizioni più vicine a quelle naturali, aiutandoci a monitorare l’evoluzione dei virus nei pipistrelli, anticipare i rischi di spillover e testare rapidamente i farmaci. Al momento, sottolineano autori e autrici dello studio, è però importante notare che mancano i genomi di riferimento completi per le specie di pipistrelli studiate, per un’analisi genetica più approfondita. Inoltre, gli organoidi non includono cellule immunitarie (anche se sono in grado di attivare risposte immunitarie intrinseche), quindi non rappresentano completamente le risposte complesse del corpo all’infezione – una componente che in futuro potrebbe essere integrata nel modello.
Pur con questi limiti, il nuovo lavoro è un ennesimo segnale del ruolo fondamentale che i NAM stanno acquisendo nel mondo della ricerca biomedica, campo delle malattie infettive incluso. Espandendo e arricchendo l’attuale collezione, l’obiettivo è quello di creare una piattaforma di pieno supporto alla preparazione e risposta alle pandemie di origine zoonotica. A conferma che, se gli animali sono ancora imprescindibili laddove servono a studiare realtà che un NAM non può ricreare, i NAM stanno d’altro canto aiutandoci sempre di più non solo a ridurre l’uso degli animali ma anche a condurre ricerche dove l’uso degli animali è impossibile.