Il ruolo fondamentale della sperimentazione animale

A oggi, il modello animale non è ancora sostituibile e, anzi, è obbligatorio in alcuni ambiti della ricerca biomedica. Nella ricerca di base, cioè quella dedicata allo studio dei meccanismi e delle dinamiche biomediche senza diretta applicazione pratica, in particolare, la sperimentazione animale gioca ancora un ruolo fondamentale.

Lo scopo di Research4Life è quello di mettere a disposizione di tutti le informazioni necessarie per poter capire le ragioni di questa necessità, ma anche i risultati ottenuti grazie all’utilizzo degli animali e gli sforzi fatti per individuare metodi alternativi.

La scienza non può prescindere dall’etica, per cui il corretto bilanciamento tra la tutela degli animali e quello alla cura dei pazienti, avendo accesso a terapie efficaci, non può che passare attraverso il principio delle 3R, che guida ogni attività di sperimentazione animale.

La sigla sta per Replace, Reduce, Refine: rimpiazzare il modello animale ogni qualvolta questo sia scientificamente possibile, ridurre al minimo il numero di animali utilizzati e rifinire al meglio tutte le procedure riducendo al minimo la loro sofferenza.

Q&A Sperimentazione Animale

Che cos’è la sperimentazione animale (e cosa non è)?

Con il termine “sperimentazione animale” si indicano tutti i progetti di ricerca che prevedono l’impiego di animali vivi a scopo scientifico; tale utilizzo può avvenire in ambito farmacologico, fisiologico, fisiopatologico, biomedico e biologico. In breve, è troppo rischioso valutare gli effetti di una molecola, un farmaco, una pratica medica o di un dispositivo biomedico direttamente sull’essere umano, senza una sperimentazione precedente su un modello, rappresentato appunto dall’animale.

Alcuni effetti di una terapia compaiono si manifestano infatti soltanto in un organismo completo, dotato di tutti gli organi che possono ricevere e modificare la terapia stessa, ma non nelle cellule isolate che si usano nei primi esperimenti in vitro. È vero che noi esseri umani siamo per molti aspetti diversi dagli animali, ma con loro condividiamo gran parte del cammino evolutivo e quindi delle molecole che si sono conservate fino a oggi.

In virtù di questa “parentela” molecolare, i risultati dei test in animali sufficientemente simili a noi possono dare indicazioni utili. Possono, per esempio, suggerire che una terapia sarà tollerabile nell’umano se negli animali non darà problemi al cuore e alla respirazione; se non provocherà effetti sedativi o stimolanti; se non modificherà l’equilibrio ormonale e così via.

Per queste ragioni gli esperimenti negli animali sono richiesti per legge prima che si possa passare alla sperimentazione clinica nell’essere umano. La legge peraltro rispecchia un’esigenza diffusa fra i pazienti: che le terapie prescritte dai medici non siano più dannose della patologia che intendono curare.
La sperimentazione è quindi una pratica prevista dalla legge: i principali riferimenti sono la legge europea, la Direttiva 2010/63/EU, e la normativa italiana che la recepisce, il decreto legislativo n. 26 del 2014. Non va in alcun modo confusa o equiparata alla vivisezione, una pratica non più in uso da diversi decenni e ormai vietata, che prevedeva che la sperimentazione avvenisse su animali vivi senza fare ricorso ad anestetici o analgesici.

Su quali animali avviene la sperimentazione in Italia?

La stragrande maggioranza degli animali oggetto di sperimentazione in Italia è costituita da roditori, come topi e ratti. Seguono con quote decrescenti pesci, conigli e bestiame domestico. Una percentuale minima è rappresentata da cani, gatti e primati non umani.

Il numero di individui usati per la prima volta a fini di sperimentazione in Italia è di circa mezzo milione (450.000 nel 2020): un numero ridotto rispetto a molti altri Paesi europei come Francia e Germania.

Come avviene il processo di sperimentazione animale?

I ricercatori operano all’interno di strutture adeguate, definite stabulari, dove gli animali sono ospitati in condizioni attentamente monitorate e che ne garantiscano salute e benessere. La legge prevede, infatti, la presenza di professionisti, quali il responsabile del benessere animale e del veterinario, in grado di garantire l’assistenza agli animali 365 giorni all’anno.

Qui si sperimentano, soprattutto per attività di ricerca di base o applicata e per test di sicurezza dei farmaci o degli alimenti, le molecole o i dispositivi oggetto dell’indagine.

Infatti, in particolare il percorso di immissione in commercio di un farmaco è lungo e complesso e prevede l’utilizzo di modelli sempre più precisi, che possiamo paragonare a dei setacci con maglie sempre più fini. Si inizia dai modelli in vitro e in silico (che vengono erroneamente definiti metodi alternativi ma che in realtà sono metodi complementari) con i quali si selezionano le molecole più promettenti; subito dopo si passa ai modelli pre-clinici in vivo (modelli animali).

Da qui in poi si passa ai test nell’essere umano, con un percorso che di norma prevede quattro fasi. L’obiettivo della fase 1, che avviene su persone sane, è quello di valutare eventuali effetti collaterali che tutti i modelli precedenti (in vitro, in silico e in vivo) possono non aver mostrato. È punto cruciale, poiché le tossicità gravi sono già state evidenziate in precedenza e quindi si può arrivare alla fase 1 nei volontari sani con un buon grado di sicurezza; la prova è data dal fatto che circa il 90% delle molecole che arrivano al modello animale dopo aver superato tutti gli altri test, vengono scartate anche per la loro tossicità. Nella fase 2 di sperimentazione, la molecola è testata in volontari affetti dalla patologia per cui il potenziale farmaco è stato studiato, e se ne inizia a studiare la reale efficacia. Poi c’è la fase 3, che avviene su un gruppo più ampio di pazienti, in cui ci si pone la domanda relativa all’efficacia e all’utilità dell’immissione del nuovo farmaco in commercio. Se anche la fase 3 va a buon fine, si passa alla fase 4: è la fase di sorveglianza dopo l’immissione sul mercato, autorizzata dalle autorità competenti (per l’UE, è l’European Medicines Agency, EMA), per raccogliere eventuali effetti avversi più rari, che emergono solo con un uso su larga scala del farmaco.

Dove avviene la sperimentazione animale nel nostro Paese?

La sperimentazione animale viene condotta all’interno dei maggiori centri di ricerca del Paese, presso le società farmaceutiche e presso la gran parte delle università italiane.

Da quando si svolge l’attività di sperimentazione animale?

Innanzitutto, bisogna evidenziare che è dal Codice di Norimberga, quindi dal 1945/46, che non si può più sperimentare direttamente sull’essere umano, ovvero dopo le atrocità perpetuate dai nazisti contro il popolo ebraico e altre minoranze.

Per quanto riguarda l’introduzione dell’obbligatorietà della sperimentazione animale nello sviluppo dei farmaci, possiamo farla risalire al 1938, quando fu approvato negli Stati Uniti il Food, Drugs and Cosmetics Act. La legge, che rendeva obbligatoria la raccolta di dati sulla sicurezza e l’efficacia delle sostanze anche attraverso i test sugli animali, che sostituiva la regolamentazione precedente, molto minimale, era in discussione fin dall’inizio del 1900. Fu però soprattutto il caso del sulfanilamide ad accelerarne e favorirne l’approvazione: un’azienda, infatti, mise in commercio questo farmaco, usato contro alcune infezioni batteriche, mescolandolo a una sostanza che doveva renderlo più gradevole al palato – ma che, purtroppo, si rivelò anche tossica e causò la morte di oltre 100 persone.

Nel 1962, scoppiò il caso del talidomide, una sostanza che, nei topi maschi, si era dimostrata un valido ansiolitico. Immesso come tale sul mercato, rivelò anche un effetto anti-emetico nelle donne in gravidanza, alla quali iniziò dunque a essere prescritto come tale. Purtroppo, però, il talidomide aveva effetti teratogeni e causò gravi malformazioni in centinaia di migliaia di bambini nel mondo. All’epoca non si sapeva, infatti, quali specie fossero più idonee per i test di teratogenicità (che oggi sappiamo invece essere i conigli): la tragedia rafforzò ulteriormente la regolamentazione sulla sperimentazione animale, in particolare portando a estendere i test sugli animali e prevedere valutazioni sugli effetti in utero.

È da queste vicende, in particolare, che il sacrificio degli animali in ricerca viene considerato un dono all’umanità per salvarla dai pericoli determinati da medicine non adeguatamente testate e per consentire la ricerca di nuovi farmaci, vaccini e tecniche per combattere sempre più e meglio le malattie, degli umani e degli animali stessi, visto che anche i farmaci veterinari passano attraverso test e controlli sperimentali.

Perché si svolge (ancora) la sperimentazione animale?

Il modello animale è il modello di riferimento sul quale sono effettuate le validazioni dei nuovi modelli, compresi quelli in vitro e in silico, e la sua validità è testimoniata dai progressi e successi della medicina.
Va sottolineato ancora una volta che, se non usassimo il modello animale prima di passare all’essere umano, invece di avere talvolta dei rischi, li avremmo sempre. Quello che quindi va valutato è il livello di rischio che la nostra società è disposta a correre se non si volesse utilizzare più il modello animale. Chi farà il volontario sano in cui verranno identificate le tossicità che oggi vediamo nel modello animale?

Un modello animale varia da studio a studio perché ogni specie condivide con l’uomo alcuni aspetti specifici (non tutti) che possono essere studiati. Testare su più specie quindi significa verificare aspetti diversi in specie diverse, per poi unire i risultati a quelli ottenuti con i metodi complementari e arrivare all’essere umano con il massimo grado di sicurezza possibile. È quella che in gergo viene definita una “strategia di test integrata”.

Abbiamo usato consapevolmente l’espressione modelli complementari e non quella di modelli alternativi. Infatti, purtroppo, tali modelli solo in pochi casi sono realmente alternativi all’utilizzo degli animali in ricerca: test in vitro, in silico, organoidi, organi on-a-chip e quant’altro la ricerca stessa ha sviluppato, finora non possono ancora sostituire in toto la complessità di reazione di un organismo vivente.

Anche i ricercatori si augurano un giorno di non dover più sperimentare su altre creature viventi gli effetti del loro lavoro, attività che comporta un peso anche emotivo importante; ma, fino ad allora, la sperimentazione animale va considerata un sacrificio necessario per il bene dell’umanità, soprattutto per chi soffre di malattie invalidanti e per le quali non è disponibile una cura.