Sapevamo che il sonno ha un ruolo importante nel consolidamento della memoria. Ma, rivela un nuovo studio condotto sui topi, prepara anche nuove reti neuronali per futuri apprendimenti
A cosa serve il sonno? Se lo sono chiesto generazioni di ricercatori e ricercatrici, senza trovare una risposta completa e definitiva. Un aspetto, però, è emerso in modo chiaro dai molti studi condotti: dormire ha un ruolo fondamentale per il consolidamento della memoria. Ora un nuovo studio, condotto su topi geneticamente modificati, aggiunge alcuni tasselli fondamentali, mostrando come durante il sonno il cervello processi contemporaneamente i ricordi passati e si prepari per la formazione di nuove memorie.
La ricerca, recentemente pubblicata su Nature Communications, è stata guidata da un gruppo di ricerca dell’Università di Toyama. Si è basata su tecniche avanzate di imaging per monitorare l’attività delle cellule dell’ippocampo, in particolare un gruppo di neuroni specializzati noti come engram cells, cellule della memoria che codificano le nostre esperienze e ci permettono di ricordarle.
Cosa sapevamo finora sul ruolo del sonno nella memoria
Sappiamo che la mancanza di sonno ha effetto deleteri sugli organismi: anche in noi umani, disturbi come l’insonnia possono portare, nel tempo, a problemi su tutto il corpo, aumentando il rischio di problemi cardiovascolari, infezioni, o patologie come l’obesità e il diabete. Nonostante il ruolo centrale del sonno per il benessere generale degli animali, i meccanismi associati a questo processo condiviso rimangono ancora spesso poco chiari.
Vari studi hanno indagato il sonno con diverse prospettive. Alcuni, per esempio, hanno cercato di capire come gli animali che viaggiano per lunghissime distanze durante le migrazioni riescano a gestire la difficoltà a fermarsi per dormire. Con risultati affascinanti: ricerche condotte per esempio negli uccelli hanno dimostrato che questi animali possono dormire in volo, “addormentando” se necessario un singolo emisfero cerebrale.
Uno degli aspetti preponderanti della ricerca sul sonno, comunque, è il suo ruolo nella memoria. Si tratta di un aspetto ormai ben noto al mondo scientifico: gli studi hanno infatti rivelato che durante il sonno il cervello riattiva le reti neuronali coinvolte nell’apprendimento recente, rafforzando i collegamenti sinaptici tra i neuroni che hanno codificato quell’esperienza. Questo processo di “replay” o riattivazione favorisce il trasferimento delle memorie dall’ippocampo (dove sono temporaneamente immagazzinate) verso altre aree corticali per la memorizzazione a lungo termine. Sappiamo anche che l’inibizione dei ritmi cerebrali caratteristici del sonno interferisce negativamente con la capacità di richiamare ricordi recenti.
Insomma, il sonno è noto per essere consentire il consolidamento delle esperienze passate. Ma ci prepara anche all’apprendimento di quelle future? E se sì, come?
Topi che dormono
È quanto si è chiesto il gruppo di ricerca dell’Università di Toyama. Per rispondere a queste domande ha usato dei topi geneticamente modificati in modo da esprimere proteine fluorescenti, così da monitorare l’attività neuronale in tempo reale attraverso un microscopio miniaturizzato, installato sulla testa dei topi. Questo approccio consente agli animali di comportarsi in modo naturale e portare avanti le loro “attività da topo”, garantendo da una parte dei risultati che riflettano una situazione reale, della vita quotidiana (sebbene di topo) e, dall’altra, evitando stress agli animali stessi, in ottica 3R.
Quindi, i topi sono stati posti in un nuovo ambiente, un’esperienza che permette di stimolare l’apprendimento (del nuovo contesto, degli odori presenti eccetera) e attivare i circuiti della memoria nell’ippocampo. In questo modo, il gruppo di ricerca ha potuto identificare ed etichettare le engram cells, i neuroni coinvolti nella memoria, tracciandone l’attività. E hanno osservato cosa succedeva nelle diverse fasi: nel sonno prima dell’apprendimento, durante la fase di apprendimento, nel sonno successivo e infine con il richiamo della memoria il giorno successivo, quando i topi venivano riportati nel nuovo ambiente.
Questa complessa indagine ha permesso di identificare gruppi neuronali che si attivano in modo sincronizzato, alcuni dei quali già sincronizzati prima dell’esperienza di apprendimento. Proprio questi ultimi diventano cellule engram, mentre un altro gruppo di neuroni cambia durante il sonno post-apprendimento, rendendosi pronto a formare nuove memorie: li hanno chiamati engram-to-be. «Durante il sonno, le cellule engram-to-be mostrano un aumento di co-attività con le cellule engram, suggerendo che questa interazione aiuti a modellare nuove reti di memoria», ha spiegato in un comunicato Karou Inokuchi, il ricercatore giapponese che ha guidato lo studio.
In altre parole: prima dell’apprendimento esistono già reti neuronali preconfigurate per la memoria, ma dopo l’apprendimento, durante il sonno, il cervello riattiva i circuiti delle memorie passate e prepara nuovi circuiti per memorie future, con un dialogo neuronale che non si verifica durante la veglia. I risultati sono stati confermati anche con un sofisticato modello matematico che simulava i neuroni dell’ippocampo.
Dormire per prepararsi agli apprendimenti futuri
Insomma, possiamo arricchire in modo significativo la nostra conoscenza del sonno e della memoria: grazie ai topi e al lavoro del gruppo dell’Università di Toyama ora sappiamo che mentre dormiano il cervello non si limita a rafforzare le memorie passate ma si riorganizza attivamente per preparare nuove reti neuronali per i futuri apprendimenti. In questo senso, il sonno è anche un processo creativo e predittivo, che plasma le nuove strutture cerebrali per le esperienze che faremo in futuro – un dato che potrebbe avere implicazioni significative in vari campi, a partire dal trattamento dei disturbi della memoria.
Anche il metodo scelto dai ricercatori apre nuove strade di studio: infatti, grazie alla combinazione di imaging neuronale negli animali, liberi di muoversi e comportarsi normalmente (di uno studio molto diverso ma che segue lo stesso principio abbiamo parlato qui), e modelli computazionali, si riesce a seguire direttamente l’evoluzione delle reti neuronali dalla fase di “preparazione” (prima dell’esperienza) fino all’effettiva formazione di una nuova memoria.