L’axolotl è celebre per la sua capacità di rigenerare arti e organi complessi, ma come riesce a coordinare questo processo in tutto il corpo? Un nuovo studio rivela che la chiave è il sistema nervoso simpatico, che invia un segnale di “allerta rigenerativa” attraverso la noradrenalina, mettendo l’intero organismo in modalità di riparazione
Topi, ratti, zebrafish, sono solo alcune delle specie che spiccano per il loro ruolo nella sperimentazione animale, perché sono impiegate in svariati campi della ricerca (senza contare le sperimentazioni a scopo regolatorio o per altri obiettivi). Alcuni animali spiccano senza dubbio dal punto di vista numerico nel panorama di quelli usati a fini scientifici: lo abbiamo visto anche per i dati italiani, che abbiamo riportato di recente.
Altre specie rimangono invece più di nicchia. Non perché siano meno importanti, ma perché sono usate in contesti molto specifici. Ne è un esempio notevole l’axolotl (Ambystoma mexicanum), un piccolo anfibio originario dei laghi dell’altopiano di Città del Messico e noto per una capacità molto peculiare: quella di rigenerare non solo alcuni arti ma anche midollo spinale, cuore, e perfino parti del cervello. Per questa caratteristica è da sempre il modello ideale per gli studi di rigenerazione.
Del processo di rigenerazione di parti del corpo nell’axolotl, così indagato, si è compreso molto – tanto quanto, però, altri aspetti sono rimasti oscuri. Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Cell, ne ha indagato uno specifico: il ruolo del sistema nervoso nel promuovere la rigenerazione, non solo nell’area interessata dal danno ma a livello sistemico.
La rigenerazione nell’axolotl è un processo sistemico
Il gruppo di ricerca che ha guidato il nuovo lavoro aveva già mostrato, nel 2018, come l’amputazione di un arto nell’axolotl stimolasse una proliferazione cellulare il tutto l’organismo, anche in organi e strutture che non avevano subito alcun danno. A questo proposito, è importante sottolineare che l’amputazione, pratica consolidata nella ricerca sulla rigenerazione, è eseguita in condizioni controllate, con anestesia e monitoraggio, per ridurre al minimo il dolore e lo stress e, nell’axolotl, non causa esiti permanenti di sofferenza o disabilità. Ciò non toglie che, come in ogni altro campo in cui sono usati gli animali, la ricerca deve giustificare in modo rigoroso la necessità della procedura, oltre a dover garantire di limitare il numero di animali usati e di assicurarne condizioni di benessere ottimali.
Se dunque si sapeva che la rigenerazione è un processo in qualche modo sistemico, che non coinvolge le sole strutture danneggiate, non era affatto chiaro come questo processo fosse regolato. Quindi autori e autrici dello studio hanno condotto una serie di esperimenti mirati, scoprendo così che, interrompendo i nervi periferici o il sistema nervoso simpatico (quello noto per il suo coinvolgimento nella reazione di “fuga o attacco”, che gli animali, umani compresi, attivano nei momenti di pericolo reale o percepito), l’attivazione sistemica della proliferazione cellulare non avveniva e la rigenerazione stessa rallentava.
Il ruolo del sistema simpatico. Anche per prepararsi a ulteriori danni
Inoltre, hanno identificato la molecola responsabile della comunicazione: la noradrenalina, ormone e neurotrasmettitore che rappresenta il principale messaggero chimico del sistema simpatico. Bloccando i suoi recettori con farmaci specifici, la rigenerazione dell’axolotl si arrestava; al contrario, stimolando artificialmente la via adrenergica con una sostanza simile, la crescita dei nuovi arti accelerava. Il nuovo studio ha anche permesso di descrivere le vie di segnalazione attraverso cui si verificano questi processi: quella adrenergica α₂A, necessaria per l’attivazione sistemica, e quella β-adrenergica, necessaria a livello locale per la rigenerazione dell’arto. Entrambe agiscono a monte della via di segnalazione mTOR, che controlla la crescita e la proliferazione cellulare: bloccandola, dunque, si sopprimono sia la rigenerazione locale che l’attivazione sistemica.
Infine, attraverso analisi molecolari e genetiche, il gruppo di ricerca ha mostrato che le cellule attivate dopo l’amputazione (soprattutto fibroblasti) assumono caratteristiche simili a quelle del blastema, il tessuto che rigenera l’arto. Queste cellule risultano anche preparate a cambiare funzione, grazie a modifiche epigenetiche che rendono il loro DNA più flessibile, come se il corpo intero fosse messo in uno stato di “allerta rigenerativa”. «Sembra crearsi una memoria a breve termine del danno in tutto l’organismo. C’è qualcosa che percepisce la lesione e, in un certo senso, mette l’animale in una modalità “getting ready”, così che possa reagire più velocemente e un eventuale ulteriore danno», ha spiegato in un comunicato Dyugu Payzin-Dogru, prima autrice dello studio. Si tratta comunque di un processo temporaneo, che si mantiene solo per pochi periodi di replicazione cellulare – probabilmente, ipotizza il gruppo di ricerca, a causa dell’alto costo metabolico che richiede.
Questo nuovo lavoro è un esempio significativo di ricerca di base: un campo della ricerca volto a indagare i meccanismi biologici fondamentali (fisiologici o patologici che siano) a vari livelli, ma senza che ciò abbia applicazioni immediate o evidenti. Eppure, la ricerca di base rappresenta le fondamenta di qualsivoglia applicazione pratica e, almeno negli studi sull’axolotl, queste possono non essere immediate ma sono perlomeno intuibili.
«Il nostro lavoro offre una prospettiva complementare da cui considerare i possibili effetti dell’amputazione negli esseri umani anche al di fuori del sito della ferita. I nostri risultati potrebbero inoltre fornire punti di riferimento importanti per applicazioni mediche al di là della popolazione degli amputati, per esempio nel contesto dei politraumi, in cui un paziente subisce gravi ferite in più parti del corpo», scrive infatti il gruppo di ricerca. Perché, se è chiaro che la nostra specie non può rigenerare gli arti come l’axolotl, i meccanismi indagati potrebbero avere un equivalente fisiologico (in termini di risposta sistemica potenzialmente coordinata dal sistema nervoso) che potrebbe offrire spunti utili per la medicina d’urgenza o la chirurgia.

 
 
