Uno studio condotto nei ratti mostra come ricordare un pasto recente aiuti il cervello a decidere quando e quanto mangiare, rivelando un meccanismo neuronale che unisce memoria e comportamento alimentare
Non è solo lo stomaco a suggerirci cosa e quanto mangiare: ricordare dove, quando e quanto abbiamo mangiato in passato può influenzare il senso di fame, la sazietà e persino la scelta di cosa mettere nel piatto. Infatti, il comportamento alimentare degli animali, umani inclusi, è guidato infatti tanto dagli stimoli metabolici quanto da processi mnemonici.
Se questo aspetto era noto dal punto di vista scientifico, e molto importante nel contesto di patologie come quelle del comportamento alimentare (ma anche per esempio nella demenza), meno chiaro è come si realizzi dal punto di vista neuronale. Ora, un recentissimo studio condotto su ratti e pubblicato su Nature Communications ha rivelato i meccanismi cerebrali che mettono in relazione la memoria e l’alimentazione.
L’ippocampo e il ricordo del cibo
Uno degli aspetti già noti alla ricerca è che la struttura cerebrale chiave nella relazione tra memoria e comportamento alimentare è rappresentata dall’ippocampo, che svolge un ruolo centrale nei processi di memoria e apprendimento. I ratti sono stati spesso al centro di queste ricerche. In parte perché, come avevamo raccontato qui, il loro cervello ha una struttura e un funzionamento molto simili a quelli del cervello umano per quanto riguarda i meccanismi di memoria e comportamento; in parte perché consentono di studiare bene i comportamenti legati all’alimentazione: imparano facilmente dove trovare il cibo, ricordano le esperienze passate e mostrano cambiamenti misurabili nel modo in cui mangiano, se si modifica l’attività di certi neuroni.
Studi precedenti sui ratti avevano anche mostrato che una specifica area, quella dell’ippocampo ventrale, è responsabile dell’integrazione tra i segnali cognitivi e metabolici. È qui che si formano quelli chiamati engrammi, cioè le tracce mnemoniche di un’esperienza.
Così, autori e autrici del nuovo studio si sono chiesti: esistono neuroni specifici di questa regione che possono creare un engramma del pasto consumato, utile per il foraggiamento futuro?
I neuroni a tavola
Così hanno impiegato una vasta gamma di diverse tecniche per registrare in tempo reale l’attività neuronale dell’ippocampo ventrale durante i pasti e per etichettarli (cioè rendere identificabili quelli attivi in un determinato momento) o ablarli (cioè eliminarli in modo selettivo) in ratti maschi. Inoltre, hanno condotto studi di chemogenetica e farmacologia per “spegnere” temporaneamente alcuni neuroni dell’ippocampo ventrale, in particolare quelli che inviano segnali a un’altra zona del cervello chiamata area ipotalamica laterale, coinvolta nel controllo dell’appetito. Hanno anche bloccato un tipo specifico di recettore della serotonina, chiamato 5HT2a, presente su questi neuroni, per verificare se questi neuroni e questi recettori sono davvero necessari per formare il ricordo di un pasto e per regolare il momento in cui l’animale sentirà di nuovo fame. E, infine, hanno verificato come queste manipolazioni influenzano la frequenza e l’intervallo tra i pasti.
In questo modo, il gruppo di ricerca ha scoperto che una piccola popolazione di neuroni dell’ippocampo ventrale si attiva durante i momenti di pausa tra una boccone e l’altro, quando l’animale ha la possibilità di osservare l’ambiente mentre mangia. Questi neuroni sembrano formare engramma del pasto che aiuta l’animale a ricordare dove ha mangiato e quando, influenzando così il comportamento alimentare futuro.
Quando si perde la memoria alimentare
Quando questi neuroni vengono eliminati o temporaneamente spenti, i ratti non ricordano più bene dove avevano trovato il cibo e iniziano a mangiare più spesso, come se non si ricordassero di aver già fatto un pasto – un comportamento che si osserva anche nelle persone con disturbi mnemonici. Inoltre, il gruppo di ricerca ha osservato come questi neuroni comunichino direttamente con una zona del cervello che regola la fame, l’area ipotalamica laterale, e che per funzionare correttamente usano un particolare recettore della serotonina. Se questo recettore viene bloccato, anche il ricordo del pasto viene compromesso.
In breve, questi neuroni aiutano il cervello a costruire un ricordo del pasto, e questo ricordo è fondamentale per regolare il ritmo con cui mangiamo.
Secondo il gruppo di ricerca, meccanismi simili potrebbero essere presenti anche nella nostra specie: questo aiuterebbe a spiegare perché alcune persone con problemi di memoria tendono a mangiare più volte in rapida successione, ma anche perché è più facile mangiare troppo quando lo si fa distrattamente, per esempio quando lo facciamo guardando la televisione. «Il cervello non riesce a catalogare nel modo corretto l’esperienza del pasto, per cui l’engramma che si forma è debole o incompleto», ha commentato in un comunicato Léa Décarie-Spain, prima autrice dello studio.
Inoltre, come spiega Scott Kanoski, corresponding author del lavoro, le informazioni che emergono dallo studio potrebbero essere di supporto anche nel trattamento dell’obesità e in generale per la gestione del peso corporeo, focalizzandoli anche sul ruolo della memoria: «Stiamo iniziando a comprendere che ricordare cosa e quanto mangiamo è altrettanto importante, per un’alimentazione sana, delle scelte alimentari stesse».