Pur non essendo formalmente xenotrapianti, la maggior parte delle valvole cardiache usate in clinica sono di origine animale: tra clinica, immunologia e biotecnologie, diamo un quadro della loro importanza e delle prospettive di sviluppo future

Quando parliamo di animali e medicina, il primo pensiero va alla sperimentazione in laboratorio, ai test farmacologici o ai modelli preclinici di malattia. Ma l’impiego degli animali in campo biomedico va ben oltre e coinvolge anche la pratica clinica. Ne è un esempio il trapianto di valvole cardiache derivate da tessuti di origine animale, un aspetto spesso trascurato nel dibattito pubblico ma che merita attenzione, non solo perché evidenzia un altro contesto in cui dipendiamo dalle altre specie ma anche per riflettere su come questo utilizzo potrebbe cambiare in futuro.

Ne abbiamo parlato con Emanuele Cozzi, immunologo dei trapianti e professore presso il Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova.

Quali valvole?

Difetti congeniti, disturbi degenerativi, calcificazione dovuta all’età, infezioni: sono moltissimi i problemi che possono interessare le valvole del cuore (mitrale, tricuspide, aortica e polmonare), che regolano il flusso di sangue in accesso e in uscita dall’organo. Si stima che a livello globale vi siano almeno 40 milioni di persone con problemi alla valvola aortica e mitrale e che nei soli Stati Uniti vengano eseguiti ogni anno oltre 180.000 interventi di sostituzione.

Ma che tipo di valvole può essere utilizzato per questo tipo d’intervento? Fondamentalmente, ne abbiamo a disposizione due tipi: quelle meccaniche, realizzate con materiali sintetici e biocompatibili, e quelle biologiche, anche dette bioprostetiche, che invece derivano da tessuti animali. Queste ultime sono di gran lunga le più utilizzate: «Circa i 2/3 delle valvole sostituite ogni anno sono di provenienza animale», spiega Cozzi.

Perché le valvole cardiache di origine animale

Perché una così netta prevalenza nell’uso di valvole cardiache biologiche? La ragione risiede nella necessità di trattamento post-operatorio richiesto dalle valvole meccaniche. Nonostante la loro lunga durata e l’alta resistenza meccanica, infatti, le valvole meccaniche possono favorire la formazione di coaguli a causa del contatto dell’organismo con il materiale artificiale. Il rischio di eventi trombo-embolici richiede un trattamento con terapie anticoagulanti a vita.

«Il problema che si pone non è legato solo al dover seguire una terapia a così lungo termine, ma anche al fatto che gli anticoagulanti pongono, a loro volta, il rischio di emorragie: chi li assume deve avere quindi una serie di cautele legate all’attività sportiva o anche professionale (a seconda del lavoro che svolge), senza contare il maggior rischio in caso di traumi, lesioni o altri interventi chirurgici», spiega Cozzi.
Questo tipo di trattamento non è invece necessario se nella sostituzione sono utilizzate valvole biologiche (al massimo, può essere previsto una terapia anticoagulante per un periodo di tempo limitato).

Come si ottengono le valvole cardiache biologiche

Le valvole cardiache biologiche derivano da scarti della macellazione; possono essere di origine bovina, suina oppure equina. Le valvole cardiache di bovini e cavalli, però, sono decisamente troppo grandi per il muscolo cardiaco umano. In effetti, nel caso di questi animali non viene utilizzata direttamente la valvola: piuttosto, la si costruisce a partire dal pericardio, la sottile membrana che avvolge il cuore.
«Il tessuto è trattato chimicamente per prevenirne il degrado e ridurne l’immunogenicità; è sterilizzato per garantirne la sicurezza microbiologica e infine modellato e montato su un apposito telaio detto stent», spiega Cozzi.

La procedura per ottenere dal pericardio di un’altra specie una valvola cardiaca da impiantare nella nostra non è semplice né breve: è invece altamente regolamentata e prevede controlli veterinari rigorosi e test su ogni valvola prima della sua commercializzazione (in effetti, dal punto di vista della produzione, ottenere una valvola meccanica è molto più semplice).

Vale la pena specificare che, proprio a causa della procedura per ottenerle e per le caratteristiche finali della valvola, gli interventi di sostituzione con valvole biologiche non sono considerati xenotrapianti. Certo, si tratta del trapianto di un tessuto di una specie diversa dalla nostra, ma dal punto di vista regolatorio, in UE e in altre regioni del mondo, i trapianti di tessuti animali non vitali e non cellulari sono classificati come dispositivi medici biologici, non come xenotrapianti.

I limiti delle valvole biologiche

Abbiamo visto gli svantaggi posti dalle valvole cardiache meccaniche, ma neanche quelle biologiche sono prive di limiti – a spiegare perché, se le valvole meccaniche sono così svantaggiose per la terapia che richiedono, non siano allora impiantante quelle biologiche in tutti i pazienti. Il principale limite è rappresentato dalla loro durata.

«La vita media delle valvole biologiche varia da una persona all’altra, ma difficilmente raggiunge i vent’anni, e molti di meno in una persona giovane. Una volta deteriorate, devono essere necessariamente sostituite, con un altro intervento a cuore aperto e i rischi annessi», spiega Cozzi. «Per questa ragione non sono mai impiantate in pazienti al di sotto dei cinquant’anni».

Ma perché le valvole biologiche hanno vita così breve nel nostro organismo? «Pur non essendo considerato propriamente un rigetto, il fenomeno che si verifica chiama in causa il nostro sistema immunitario, che riconosce la valvola come elemento estraneo e ne aggredisce il tessuto, causandone un deterioramento precoce», spiega Cozzi.

Prospettive: animali GM per le valvole cardiache?

Le valvole biologiche rimangono, però, quelle in grado di garantire una miglior qualità di vita dei pazienti che le hanno ricevute. Non è possibile pensare di superare l’ostacolo posto dal loro deterioramento precoce? È quanto si sono chiesti anche Cozzi e il suo gruppo di ricerca, che al riguardo ha pubblicato su Nature Medicine i risultati di uno studio in cui hanno indagato il ruolo delle risposte immunitarie contro specifici zuccheri (antigeni) di origine animale.

La ricerca, condotta su un vasto numero di pazienti seguiti fino a 15 anni dopo l’impianto della valvola biologica, ha permesso di osservare come gli anticorpi umani contro due specifici antigeni presenti nei tessuti animali da cui derivano le valvole aumentino dopo l’intervento e sembrino contribuire al loro deterioramento.

Ma le cose potrebbero essere diverse usando valvole che, pur biologiche, derivano da animali geneticamente modificati. Nell’ambito dello studio, infatti, il gruppo di ricerca ha anche impiantato sottocute, nei topi, dei dischi di tessuto bioprotesico (cioè frammenti di tessuto provenienti da valvole cardiache biologiche commerciali), ottenuti questa volta da maiali geneticamente modificati per non produrre gli antigeni responsabili della risposta immunitaria. E, anche somministrando al topo anticorpi diretti contro questi antigeni, non si osservava alcun deterioramento del tessuto bioprotesico.

«Queste ricerche sono state condotte solo in ambito preclinico e a oggi, comunque, non sarebbero sostenibili dal punto di vista economico per la pratica clinica: modificare geneticamente un animale per ottenerne le sole valvole cardiache sarebbe infatti enormemente costoso», conclude Cozzi. «La prospettiva potrebbe però cambiare se, di quell’animale geneticamente modificato, potessimo usare altri organi e tessuti da impiegare nel campo degli xenotrapianti».

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