Dalla presa per la coda al tunnel handling, il modo in cui vengono maneggiati gli animali da laboratorio influisce direttamente sul loro benessere e sul valore scientifico degli esperimenti. Per questa ragione la manipolazione è un elemento chiave del refinement: ridurre lo stress di topi e ratti significa proteggerne il benessere, ma anche ottenere dati più affidabili
Parliamo spesso delle norme e delle pratiche volte ad assicurare il benessere degli animali usati in ricerca. Così, per esempio, riportiamo i dati sulla gravità delle procedure regolarmente pubblicati dalla Commissione europea e dal Ministero della Salute italiano, e abbiamo spiegato le caratteristiche che devono avere gli stabulari a seconda delle specie ospitate. Ma il benessere degli animali, e tutto ciò che consente di evitare loro stress e sofferenza, chiama in causa moltissimi altri aspetti: tra questi vi è il come (e il quando) vengono maneggiati da operatori e operatrici.
Cerchiamo allora di presentare una breve panoramica su come si manipolano gli animali da laboratorio nel modo corretto, concentrandoci (per ora) su topi e ratti, che rappresentano le specie più utilizzate in ricerca.
Contatto umano e benessere animale
Innanzitutto, perché è così importante prestare attenzione a come gli animali da laboratorio sono manipolati? Non è una questione di sicurezza dell’operatore/trice, per evitare eventuali morsi o graffi: gli animali utilizzati infatti non rappresentano un rischio sanitario per i ricercatori, in quanto sono privi di malattie zoonotiche. L’importanza di una corretta manipolazione è invece rilevante per ridurre il disagio degli animali: infatti, per molte specie il contatto con l’essere umano è fonte di stress, come si osserva comunemente per quelle selvatiche, ma anche per quelle considerate domestiche come appunto topi e ratti. E, come abbiamo ripetuto più volte, lo stress è un problema non solo etico (per quanto questo sarebbe sufficiente a giustificare ogni preoccupazione al riguardo) ma anche scientifico, perché può influenzare influenza sicuramente e in maniera imprevedibile la risposta dell’animale all’esperimento e, di conseguenza, ne falsa i risultati. Insomma, il benessere dell’animale è una questione tanto etica quanto scientifica, e una buona ricerca non può in alcun modo trascurarlo.
Vari studi hanno ormai ben dimostrato che il modo in cui si maneggia un animale da laboratorio è un importante modulatore del suo benessere. Per esempio, un’immagine che ancora spesso appartiene all’immaginario collettivo è quella del topo o ratto tenuto per la coda: la ricerca ha ampiamente dimostrato quanto questo modo di maneggiare l’animale sia deleteria e accresca gli stati d’ansia, mentre tenerlo sulla mano aperta o con l’uso di tunnel (qui un video in cui si vede come funzionano) non solo ne abbassa l’ansia ma favorisce un approccio volontario all’operatore/trice. E, come dicevamo, questo ha anche un diretto effetto fisico: nei topi obesi, per esempio, si è visto che abbassa la tolleranza al glucosio, cioè migliora la loro capacità di metabolizzare questo zucchero.
La letteratura scientifica è ricchissima di esempi di questo tipo. D’altronde, come avevamo raccontato qui, oggi sappiamo anche che non solo il modo in cui un animale viene maneggiato ma anche il sesso di chi lo maneggia può avere un effetto sulla sua risposta psicofisica.
Come si maneggia nel modo corretto un animale da laboratorio
Insomma, quando si parla di benessere degli animali da laboratorio la questione di come li si manipola è tutt’altro che secondaria. Per i topi abbiamo già citato un principio di base, quello di non afferrarli per la coda ma farli salire gentilmente sulla mano aperta o nel “tunnel”, un piccolo tubo trasparente e aperto che evita in modo sostanziale il contatto fisico umano. Questo approccio, peraltro, rientra il pieno del principio di refining delle 3R, che in breve richiede appunto di minimizzarne la sofferenza e massimizzarne il benessere. Anche per i ratti si sconsiglia la presa dalla coda: meglio invece tirarli fuori dal box prendendoli delicatamente per le spalle, supportandoli con la mano a conca per evitare trazioni del torace.
Ancora prima di come un animale debba essere manipolato, comunque, c’è una fase preliminare che non può essere trascurata: l’abituazione all’essere umano. Perché se è vero che gli animali da laboratorio sono inevitabilmente abituati alla nostra presenza, non solo per le procedure sperimentali ma anche per tutto ciò che attiene la loro cura (come la pulizia del box), è anche vero che ci possono essere strategie per migliorare ulteriormente il rapporto. Questo è particolarmente noto per i ratti: l’NC3R, un importante centro di riferimento britannico per il principio delle 3R, suggerisce infatti l’uso del rat tickling per rinforzare il legame umano-ratto e ridurre l’ansia di quest’ultimo. In breve, si tratta di fare il solletico al ratto: un comportamento che mima gli aspetti del gioco di questo roditore, che infatti spesso mostra di apprezzarlo moltissimo. L’idea è di solleticarlo per alcuni secondi sulla schiena e, quando si gira, sulla pancia, per almeno due giorni prima di iniziare ogni procedura. Inoltre (e questo vale anche per i topi) è importante cercare di abituare gli animali alla manipolazione già quando sono molto giovani, così da massimizzare il risultato.
Il contenimento fisico
È poi inevitabile considerare il modo corretto di contenere fisicamente il topo o il ratto, per garantirgli una posizione stabile e sicura. Il primo aspetto da considerare è che un animale abituato a essere maneggiato, e che appunto viene maneggiato nel modo corretto, accetterà di essere contenuto senza perdere la confidenza con l’operatore. Poi, come spiega sempre l’NC3R, può effettivamente entrare in gioco la presa della coda: tenendone in modo saldo la base, si può tirare delicatamente all’indietro per stimolare l’animale a fare presa e usare l’altra mano per afferrare la pelle lassa sulla nuca tra pollice e indice. In alternativa, si può posizionare il topo sull’avambraccio e coprirlo delicatamente con l’altra mano; quando la testa spunta tra il pollice e l’indice, l’animale viene contenuto pizzicando la pelle lassa lungo la schiena tra pollice e indice.
In ogni caso, il contenimento deve essere sempre tale da mantenere l’animale in sicurezza, e mai da causargli dolore o fastidio.
Imparare a osservare e approcciare gli animali da laboratorio
Ci sono altri punti fermi per quanto riguarda la manipolazione degli animali da laboratorio. Il primo è l’avere un approccio corretto, non solo nelle modalità con cui l’animale viene manipolato, ma anche il modo stesso di comportarsi dell’operatore/trice, che deve evitare ogni movimento brusco o improvviso, mantenere la voce bassa e tranquilla, evitare l’utilizzo di profumi intensi, non utilizzare nulla che possa causare rumori eccessivi (suonerie di telefoni, scarpe con tacchi eccetera).
Il secondo è non dimenticare mai di osservare la risposta dell’animale stesso, non solo nel periodo di manipolazione ma anche in quello immediatamente successivo: osservare come l’animale si comporta, infatti, fornisce informazioni importanti su come ha reagito, dal punto di vista emotivo, alla manipolazione. Per esempio, un animale agitato può scappare immediatamente dalla mano dell’operatore/trice, oppure cercare di nascondersi. Al contrario, un animale tranquillo e rilassato può riavvicinarsi alla mano, esplorandola e cercando di interagirvi.
Tutte queste pratiche, che richiedono anche un’adeguata formazione del personale, sono inserite anche in numerose linee guida e nella normativa italiana ed europea. Tra queste, per esempio, quelle della Federation of European Laboratory Animal Science Associations (FELASA), che evidenziano l’importanza dell’abituare l’animale al personale e alle procedure e della supervisione del veterinario competente. O nella Guide for the Care and Use of Laboratory Animals statunitense (che rappresenta un riferimento anche al di fuori degli Stati Uniti), che offre diverse specifiche per esempio sul contenimento fisico (incoraggiando il rinforzo positivo quando è necessario contenere l’animale, sconsigliando l’uso di strumenti di contenimento soprattutto se per lungo tempo, nonché l’uso di animali che mostrano di non essersi abituati al contenimento).
Certo, quelli che abbiamo riportato fin qui sono principi generali e, per di più, relativi soprattutto a topi e ratti. Ma altrettante indicazioni sono disponibili per ciascuna delle specie usate in ricerca, dallo zebrafish al polpo, dal porcellino d’India al primate. Perché se c’è una cosa che accomuna tutte queste specie agli occhi della comunità scientifica è il principio di base: la ricerca non può essere valida, né scientificamente né eticamente, se un animale è stressato o sofferente.
