Come viene garantito il benessere degli animali usati in ricerca? Vari sono gli aspetti da considerare, e in parte abbiamo già iniziato a trattarli sul nostro sito spiegando, per esempio, come sono normate le procedure cui gli animali vengono sottoposti. Un altro punto fondamentale sono le condizioni di stabulazione, cioè come sono organizzati gli stabulari nei quali gli animali vivono

Nella narrazione contro la sperimentazione animale si vedono spesso immagini di animali ingabbiati, che stringono o si sporgono dalle sbarre. Sono immagini inevitabilmente drammatiche, che suggeriscono scenari di prigionia crudele. Ma la realtà è abbastanza diversa: in questo articolo, ripercorriamo le principali norme europee in materia di stabulazione, per dare un quadro di come vivono gli animali usati in ricerca.

È innegabile che gli animali stabulati non siano liberi nell’ambiente ma chiusi in spazi definiti. Oltre che innegabile, questo è un fatto ovvio, e inevitabile. Gli spazi nei quali vivono, però, devono avere caratteristiche ben definite ed esplicitate dalla Direttiva 2010/63/EU, dedicata alla tutela del benessere degli animali usati a fini scientifici.

I requisiti generali della stabulazione

Un primissimo aspetto da evidenziare è che, del totale degli animali conteggiati dalle statistiche annuali europee, non tutti nascono e crescono in stabulari. Infatti, una piccola percentuale è rappresentata per esempio da animali da fattoria o prelevati dallo stato selvatico (soprattutto pesci).

Con questa precisazione, la maggior parte degli animali vive invece, appunto, all’interno di stabulari. Come questi debbano essere organizzati e gestiti per garantire il benessere degli animali è descritto nell’allegato III della Direttiva, aggiornato proprio di recente, che definisce i Requisiti per gli stabilimenti per la cura e la sistemazione degli animali. L’allegato inizia riportando alcuni requisiti comuni per tutti gli animali, per poi specificare le necessità delle singole specie.

Al primissimo punto dell’allegato è esposto l’obbligo che le strutture nelle quali sono tenuti gli animali siano «Progettate in modo da offrire un ambiente che tenga conto delle esigenze fisiologiche ed etologiche delle specie da ospitare». Nei suoi punti generale, l’allegato prosegue specificando vari aspetti “base”: per esempio, le strutture devono essere sottoposte a pulizie regolari e osservare norme igieniche soddisfacenti; rivestimenti e attrezzature devono essere insieme resistenti (per evitare il logorio cui possono sottoporle gli animali o le pulizie) e sicure, innocue per la salute degli animali; devono essere previste strutture per l’isolamento degli animali di nuova acquisizione finché non ne sia stato accertato lo stato di salute, così come devono essere disponibili strutture separate per gli animali malati o feriti.

Non mancano considerazioni di carattere etologico. Per esempio, l’allegato specifica che «Specie incompatibili, come predatori e prede, o animali che necessitino di condizioni ambientali diverse, non possono essere fatte coabitare nello stesso locale», e nel caso specifico di specie preda-predatore, non devono «Trovarsi a una distanza tale da potersi reciprocamente vedere, annusare o ascoltare». Questo evita lo stress per la preda che percepisce il predatore e, per quest’ultimo, lo stress di non poter seguire il proprio predatorio.

L’allegato precisa anche le diverse caratteristiche ambientali che devono essere assicurate nello stabulario: per esempio, i rumori, ultrasuoni compresi, «Non devono nuocere al benessere degli animali», e se necessario bisogna ricorrere all’isolamento acustico dei locali. Se la luce naturale non è tale da garantire cicli adeguati luce-buio (che permettano agli animali di seguire i propri ritmi circadiani), è richiesta un’illuminazione artificiale che risponda a questa necessità.

Naturalmente, la Direttiva prevede anche regolari controlli della salute degli animali, alimentazione e acqua adeguate, idonee zone per il riposto. Ma specifica anche come lo spazio in cui vivono gli animali debba essere fornito di arricchimenti ambientali (quell’insieme di stimoli, strutture eccetera che soddisfi le esigenze etologiche degli animali in cattività) per consentire loro di «Esprimere un ampio repertorio di comportamenti normali. Essi dispongono di un certo grado di controllo e di scelta rispetto al proprio ambiente per ridurre i comportamenti indotti da stress». Infine, per quanto riguarda la socialità, un aspetto chiave per il benessere degli animali, è chiaramente specificato che «Gli animali, a eccezione di quelli per natura solitari, sono alloggiati in gruppi stabili di individui compatibili». Se necessario isolare un animale (per esempio per ragioni sanitarie o perché richiesto dallo studio cui è sottoposto), questo deve avvenire per il minor tempo possibile «Ed è mantenuto il contatto visivo, uditivo, olfattivo e tattile».

Requisiti specie-specifici, qualche esempio

L’allegato della Direttiva prosegue con le specifiche dedicate alle diverse specie, definendo per esempio le dimensioni minime degli alloggiamenti in base alla taglia degli animali, alla presenza o meno di cucciolate e in alcuni casi in base all’età. Per i cani sono previsti, ove possibile, recinti esterni; inoltre, per quanto riguarda le dimensioni degli alloggiamenti, la Direttiva specifica che sono riferite alla razza beagle, di norma utilizzati in ricerca. Tuttavia, se nello studio sono coinvolte altre razze o incroci, lo spazio necessario va definito in consultazione con il personale veterinario.

Per cani e gatti sono previste misure specifiche in caso di gravidanza e parto: per esempio, per le gatte al termine della gravidanza o con cuccioli fino a quattro settimane (età alla quale inizia lo svezzamento) possono essere alloggiate singolarmente, e «Lo spazio minimo destinato a una gatta e alla sua figliata è quello riservato a un unico gatto ed è aumentato progressivamente in modo che, a quattro mesi, i piccoli siano risistemati secondo i requisiti di spazio per gli esemplari adulti».

La definizione degli spazi necessari ai diversi animali non riguarda solo i mammiferi ma, ovviamente, qualsiasi altro animale possa essere usato in sperimentazione: dai volatili (pollame domestico, tacchini, quaglie, piccioni…) a rettili, anfibi e pesci. A questi ultimi sono dedicati diversi paragrafi specifici che definiscono al meglio le caratteristiche ambientali necessarie, in termini di parametri chimico-fisici dell’acqua (ossigenazione, pH, temperatura, salinità…), che devono sempre essere adeguati alle diverse specie. La Direttiva precisa, inoltre, che anche per i pesci è necessario un adeguato arricchimento ambientale come nascondigli e substrati.

Di recente, il 15 maggio, sono stati pubblicati degli aggiornamenti per gli allegati III e IV (sui metodi di soppressione degli animali) della Direttiva. Questi aggiornamenti si basano soprattutto sulle nuove conoscenze acquisite negli ultimi anni per quanto riguarda le necessità per il benessere di alcune specie, in particolare cefalopodi, zebrafish e passeriformi. Sono quindi state introdotte le tabelle riportanti le dimensioni richieste per l’alloggiamento di storni, cinciallegre e cinciarelle, e passeri. Per quanto riguarda i pesci, oltre ad alcune ulteriori specifiche sulle condizioni ambientali, è stato modificato il paragrafo originale secondo cui «Le operazioni di manipolazione dei pesci sono ridotte al minimo», specificando che «Laddove possibile, i pesci devono essere manipolati senza rimuoverli dall’acqua. La manipolazione dei pesci sia dentro sia fuori dall’acqua dev’essere ridotta al minimo […]».

Tra gli aspetti più importanti dell’aggiornamento dell’allegato vi è l’introduzione di un paragrafo interamente dedicato ai cefalopodi. Oltre a definire le condizioni ambientali di illuminazione, rumore, parametri chimico-fisici dell’acqua eccetera, in modo analogo alle altre specie, il paragrafo dedicato ai cefalopodi specifica che «I cefalopodi devono ricevere una quantità adeguata e sufficiente di stimoli fisici, cognitivi e sensoriali per consentire un’ampia gamma di comportamenti propri della specie». Anche per loro, inoltre, sono previsti arricchimento ambientale, condizioni di alloggiamento che tengano in considerazione la socialità delle diverse specie e una manipolazione ridotta al minimo, il più possibile in acqua. Vale la pena ricordare in questo contesto che, come ci aveva spiegato la zoologa e neuroetologa Anna Di Cosmo qualche tempo fa, solo poche specie di cefalopodi possono essere allevate in cattività, che le diverse specie di cefalopodi hanno stili di vita e necessità spesso profondamente differenti tra loro e che serve una formazione specifica per occuparsi del loro benessere.

Dalla ricerca al benessere (e ritorno)

Come garantire che tutte le indicazioni della Direttiva UE siano effettivamente messe in atto? Il rispetto della Direttiva, incluso dunque quello per tutti i requisiti per la stabulazione degli animali, è garantito da ispezioni previste dalla Direttiva stessa. Le ispezioni sono a cura degli Stati membri, ma la Commissione europea può eseguire a sua volta controlli sia sulle infrastrutture sia sullo svolgimento delle ispezioni nazionali.

La Direttiva prevede anche «una percentuale adeguata» d’ispezioni senza preavviso. Inoltre, le ispezioni devono essere eseguite, ogni anno, su almeno un terzo delle strutture che ospitano animali per la sperimentazione. Per chi ospita primati, le ispezioni devono avvenire almeno una volta all’anno.

«Assicurare il benessere degli animali usati in ricerca non è solo una necessità etica – che sarebbe comunque più che sufficiente. È anche un’esigenza della ricerca stessa, perché stress e sofferenza alternano le risposte biologiche: un animale che non sta bene dal punto di vista psicofisico, quindi, può compromettere i risultati di uno studio», ricorda Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «È anche per questa ragione che molti studi si dedicano proprio a capire le necessità delle diverse specie e al riconoscimento di possibili segnali di stress o dolore. Il recente aggiornamento dell’allegato III della Direttiva risponde proprio all’aumentare delle conoscenze, permettendoci di garantire sempre meglio il benessere degli animali usati a fini scientifici».

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