Come viene classificata la gravità delle procedure quando gli animali sono impiegati a fini scientifici? Che tipo di sofferenze tiene in conto, e secondo quali parametri?

Negli articoli che abbiamo dedicato al report europeo pubblicato a luglio che raccoglie i dati sulla sperimentazione animale negli Stati membri e alla Norvegia, abbiamo avuto modo di citare il concetto di gravità d’intervento, riferito alla sofferenza che prova l’animale. In particolare, il concetto di gravità dell’intervento emerge quando si guarda agli scopi dell’impiego degli animali: se per alcuni utilizzi si registrano gravità lievi o moderate (e questo è vero in particolare per gli studi in ambito etologico, per esempio), per altre categorie invece le procedure impiegate sono maggiormente classificate come gravi. Ma cosa significano esattamente queste classificazioni e come vengono attribuite?

La classificazione della gravità delle procedure

Per l’attuazione della direttiva 2010/63/EU per la tutela degli animali impiegati a scopi scientifici, in Italia è stato introdotto il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 26, che recepisce quanto emerso dal tavolo di lavoro istituito dalla Commissione europea e che ha portato alla pubblicazione del Quadro di valutazione della gravità delle procedure. Nell’allegato VII del decreto legislativo, così come nel documento della Commissione europea, vengono identificati quattro diverse classi di gravità delle procedure:

  • non risveglio (non recovery), che definisce le procedure completamente eseguite sull’animale in anestesia generale e senza che venga poi risvegliato
  • lieve (mild), ossia procedure che “probabilmente causano dolore, angoscia e sofferenza lievi e di breve durata” e quelle che “non provocano un significativo deterioramento del benessere o delle condizioni generali degli animali”
  • moderata (moderate), per le procedure che “causano probabilmente dolore, sofferenza o angoscia moderati e di breve durata” e quelle “che provocano probabilmente un deterioramento moderato del benessere o delle condizioni generali”
  • grave (severe) per le procedure che “causano probabilmente dolore, sofferenza o angoscia moderati e di lunga durata” e quelle “che provocano probabilmente un deterioramento grave del benessere o delle condizioni generali”

L’assegnazione delle diverse classi di gravità tiene conto sia degli interventi o manipolazioni cui l’animale è sottoposto nell’ambito di una procedura sia del tipo di quest’ultima. In particolare, in riferimento alla procedura, l’assegnazione tiene conto non solo di fattori quali per esempio l’eventuale ripetizione (e della sua frequenza) ma anche gli elementi ambientali, quindi per esempio la limitazione dell’accesso a cibo e acqua, e in generale a ciò che impedisce il comportamento naturale della specie. Inoltre, caso per caso vengono considerati fattori aggiuntivi che comprendono per esempio l’età e il sesso dell’animale, la specie e il genotipo, l’esperienza di addestramento dell’animale con quel tipo di procedura (infatti un animale abituato a usare un determinato apparecchio o subire una certa procedura proverà meno stress rispetto a un animale per il quale rappresenta un’assoluta novità). Questo anche perché nella valutazione non si considera il solo dolore fisico ma anche la compromissione del benessere psicologico, quindi anche stress e paura, nonché la malattia eccetera. E, in tutti i casi, la gravità da comunicare e riportare è quella “totale” sperimentata dall’animale nel corso dell’intera sperimentazione (la valutazione rappresenta infatti un processo continuo), non quella che si registra in una singola procedura. In molti casi quindi può accadere che un animale sottoposto a diverse procedure considerate “lievi” (iniezioni sottocutanee, test comportamentali eccetera) venga categorizzato come “grave” poiché si considera la somma di tutte.

«Per esempio, è considerata una procedura lieve l’applicazione di una tecnica non invasiva di imaging, come può essere la risonanza magnetica, che prevede comunque la somministrazione di un’anestesia allo scopo di evitare uno stress all’animale », spiega Giuliano Grignaschi, direttore di Research4Life. «Sono indicate invece tra quelle moderate l’intervento chirurgico in anestesia generale (con la somministrazione di analgesici) e la privazione del cibo fino a 48 ore nei ratti adulti. Sono considerate gravi, infine, le procedure come i test di tossicità nei quali può verificarsi (nei casi più estremi quindi rari) la morte dell’animale, trapianti di organi, operazioni chirurgiche che portano a un deterioramento grave e persistente del benessere dell’animale».

I dati europei

Il report europeo riporta la gravità delle procedure per ciascuna delle categorie e sotto-categorie d’impiego per le quali sono usati gli animali. In generale, nel 2018 poco più della metà degli usi (il 51%) è stato registrato come lieve; le procedure registrate come moderate rappresentano il 34%, le gravi il 10% e il non risveglio è il 6%. Per quanto riguarda le procedure gravi, si riscontrano soprattutto negli impieghi a scopo regolatorio (definiti come test di efficacia e sicurezza per la produzione, la distribuzione e il mantenimento di prodotti e sostanze sul mercato, che quindi sono obbligatori in tutto il mondo per garantire la sicurezza di farmaci, dispositivi biomedici e alimenti).

Gli humane endpoint

Un criterio che guida l’impiego degli animali a scopi scientifici è quello degli humane endpoints, o endpoint umanitari, che di fatto indicano il limite oltre i quali una procedura deve essere interrotta, devono essere applicate misure per ridurre la sofferenza (per esempio fornendo un analgesico) oppure è necessario sopprimere l’animale, per evitare ulteriore dolore. Tali endpoint possono essere individuati attraverso manifestazioni cliniche o pre-cliniche (quindi per esempio la perdita di peso o variazioni ormonali) e comportamentali (segnali di aggressività, risposta alla manipolazione eccetera).

In pratica, gli endpoint umanitari rientrano tra le strategie di refinement (concetto previsto nelle 3 R) che consentono di mitigare o eliminare il disagio e la sofferenza per gli animali, da prevedere già in fase di pianificazione degli esperimenti (Art. 13, comma 3 D. Lvo 26/2014).

Il National Centre for the Replacement, Refinement and Reduction of Animals in Research (NC3Rs), centro britannico nato nel 2004 e dedicato all’implementazione delle 3R in campo scientifico, riporta che un buon esempio di applicazione degli humane endpoint sono gli studi che utilizzano topi geneticamente modificati per lo studio della malattia di Huntington e lo sviluppo di possibili terapie. In questo campo è stata identificata una serie di criteri prevedibili e oggettivi che si verificano durante i processi neurodegenerativi: tra questi, per esempio, la diminuzione dell'attività esplorativa, l'aumento della sete e cambiamenti in comportamenti come il saltare e l’appendersi. Identificare questi comportamenti permette di iniziare a mettere in atto le procedure necessarie per alleviare la sofferenza senza arrivare alla patologia avanzata o alla morte dell’animale, come avveniva in precedenza.

Questi criteri specifici agiscono come sostituti per gli endpoint più gravi che sono stati utilizzati in studi precedenti animali (tipicamente patologia avanzata o morte). L'implementazione di endpoint umanitari permette quindi agli scienziati di condurre studi per comprendere ulteriormente e sviluppare trattamenti per la malattia, alleviando al contempo il dolore e/o l'angoscia che si sarebbero potuti verificare se la malattia fosse progredita.

«Saper valutare la gravità delle procedure è fondamentale per poter garantire il massimo benessere psicofisico agli animali impiegati, in accordo con la direttiva europea. Ma non solo: dobbiamo infatti ricordare che la sofferenza dell’animale influenza sempre in modo negativo il risultato scientifico», conclude Grignaschi. «Dolore, paura e stress hanno infatti una profonda influenza sull’organismo, che quindi potrà reagire in modo diverso rispetto a quello di un individuo non sofferente a, per esempio, un farmaco che si vuole testare. Questo, a sua volta, comprometterà il risultato dello studio. Cercare di garantire la minor sofferenza possibile agli animali ha quindi il duplice valore di assicurare risultati affidabili e tutelare l’animale stesso».

Lascia un commento