Un nuovo studio mostra che il diamante mandarino non solo distingue i diversi richiami, ma li organizza in categorie con un vero e proprio significato semantico. Un po’ come avviene nell’interpretazione umana del linguaggio
Spesso tendiamo a dimenticare che la ricerca animale non solo non è esclusivamente quella necessaria per la sperimentazione farmacologica, ma nemmeno quella biomedica. Gli animali sono usati in moltissimi campi di ricerca, non ultimo lo studio della comunicazione e cognizione animale. Eppure, da questo campo emergono informazioni affascinanti e che, anche quando si tratta di ricerca di base, spesso potrebbero dare un aiuto concreto anche per la ricerca applicata.
È da questa premessa che partiamo per raccontare un recente studio, pubblicato su Science e condotto sul diamante mandarino, uno degli uccelli più usati nella ricerca scientifica (soprattutto in biologia comportamentale, neuroscienze e genetica). Questa specie usa per comunicare circa 11 tipi di vocalizzazione, ciascuna associata a un preciso contesto sociale o comportamentale. Ma, si è chiesto il gruppo di ricerca, questi suoni hanno anche un vero e proprio significato mentale?
Come parla il diamante mandarino
Il diamante mandarino (Taeniopygia guttata) è un piccolo passeriforme dallo sgargiante becco rosso-arancio, lo stesso colore che i maschi presentano sulle guance. In inglese è detto zebra finch, a richiamare le striature zebrate che sempre i maschi presentano su gola e petto. È anche l’uccello più usato in assoluto in ricerca, se si escludono quelli d’allevamento a scopo commerciale (che, vale la pena ricordarlo, in Italia rappresentano una percentuale consistente degli animali usati a scopo scientifico).
Le ragioni sono solo in parte pratiche, perché se è vero che si tratta di una specie che può essere facilmente tenuta in cattività, è anche vero che presenta una serie di caratteristiche che lo rendono ideale per indagare, per esempio, alcuni aspetti neurobiologici.
Gli animali sociali hanno di solito un ricco repertorio di vocalizzazioni per comunicare tra loro; per alcune specie sono anche molto studiate, per cui sappiamo quando e a che scopo vengono utilizzate: lanciare un allarme ai compagni, segnalare del cibo, indicare la propria posizione, riprodursi eccetera. Nel caso del diamante mandarino, sono state riconosciute circa 11 vocalizzazioni specifiche, dette Etho call type, e gli studi hanno già mostrato che sono trattati come categorie distinte. Quando sente una serie di suoni, cioè, il diamante mandarino non li tratta tutti come stimoli separati, ma li raggruppa in “categorie” (per esempio fischi e suoni gravi). E non solo vi riescono se le categorie sono basate su parametri naturali (per esempio se i suoni hanno un determinato ritmo), ma possono anche essere addestrati per discriminare categorie artificiali, cioè sulla base di divisioni decise dai ricercatori (per esempio, tutti i suoni sopra una data frequenza). Una volta che l’animale ha appreso una categoria, riesce ad applicarla anche a nuovi suoni che non ha mai sentito; quindi, in pratica, non memorizza solo i singoli suoni addestrati, ma riconosce il pattern comune che definisce la categoria.
Proprio questa capacità è stata la base per il nuovo studio.
Suono…
La domanda cui il gruppo di ricerca voleva rispondere era: per il diamante mandarino i differenti suoni hanno anche un valore semantico, cioè un significato, più o meno equivalente all’interpretazione umana del linguaggio? O la risposta è sostanzialmente un puro istinto? Come scrivono – in modo molto limpido – autori e autrici, «Non potendo leggere la mente degli [altri] animali, rispondere è molto difficile». E precisano: «Le differenze tra la facoltà del linguaggio negli esseri umani e quella negli altri animali sono spesso state considerate come la prova di un divario nelle rappresentazioni mentali e nelle capacità cognitive tra i due. Dimostrare in modo chiaro che i richiami degli animali non siano semplicemente prodotti e recepiti in maniera riflessa rappresenta una sfida».
Per rispondere, hanno innanzitutto addestrato 12 diamanti mandarini con un compito di scelta operante in laboratorio: quando l’uccello voleva iniziare la prova, beccava una levetta, che faceva partire un richiamo registrato. Se era uno specifico fra gli 11 Etho call type, doveva aspettare 6 secondi senza interrompere il suono per ottenere semi come premio; altrimenti, poteva interromperlo subito con un becchettio per passare al successivo. Un aspetto fondamentale di questo esperimento è che il gruppo di ricerca non ha usato sempre gli stessi suoni, bensì centinaia di registrazioni fatte da molti individui diversi. Così, il diamante mandarino non poteva memorizzare un suono preciso, ma doveva capire le caratteristiche comuni del tipo di richiamo (altezza, andamento, timbro) che lo rendevano riconoscibile, imparando a classificare i vari suoni.
… E significato
Quindi il gruppo di ricerca è passato ai test di categorizzazione veri e propri, per capire se i diamanti mandarini usavano categorie mentali e non solo somiglianze acustiche. Per esempio, ha introdotto richiami di uccelli mai sentiti prima. Ha anche iniziato a “cambiare le regole”, per esempio penalizzando il richiamo che prima dava ricompensa. All’inizio gli uccelli continuavano a classificare in base al significato del richiamo, non alla nuova regola, e solo con il tempo si adattavano.
Infine, il gruppo di ricerca ha confrontato gli errori di classificazione con la somiglianza acustica tra i richiami. La logica è che, se gli errori dipendessero solo dal suono, i richiami più simili dovrebbero essere confusi di più; e invece si verificava sostanzialmente il contrario: gli uccelli sbagliavano soprattutto tra richiami che avevano un significato simile (per esempio, diversi tipi di allarme), anche quando non erano così simili sotto il profilo acustico. Non solo quindi i diamanti mandarini discriminano tutti i tipi di richiami del loro repertorio per categorie, ma queste categorie si basano tanto sull’acustica quanto sul significato sociale del richiamo. Appunto, un po’ come facciamo noi con le parole.
«Pertanto l’elaborazione categoriale di categorie dotate di significato, come i richiami specifici di specie, non è una caratteristica esclusiva dei primati», scrive il gruppo di ricerca nelle conclusioni dello studio. Questo è un esempio di ricerca prettamente di base, senza immediate ed evidenti ricadute pratiche. Ma, come spessissimo avviene nella ricerca di base, il valore dei risultati è tutt’altro che trascurabile: per esempio, forniscono informazioni che potrebbero aiutarci a capire meglio come si sia evoluto il linguaggio, approfondendo come le specie non umane percepiscano e organizzino i richiami.