La nuova roadmap della FDA punta a sostituire la sperimentazione animale con metodi NAM. Partendo dagli anticorpi monoclonali, l’obiettivo è eliminare, nel tempo, l’uso di animali anche per altri farmaci e vaccini

Quello recentemente annunciato dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente regolatorio statunitense, è un cambio di paradigma storico: la sostituzione della sperimentazione animale nel processo di sviluppo e approvazione dei farmaci, in particolare per gli anticorpi monoclonali, con metodologie alternative. Nell’ambito di queste ultime, più precisamente chiamate New Approach Methodologies (NAM), rientrano modelli computazionali basati sull’intelligenza artificiale, colture cellulari e di organoidi.

La messa in atto di questo processo, spiega l’FDA, sarà graduale, ma fin da subito, nelle domande formali presentate all’FDA per ottenere l’autorizzazione a iniziare studi clinici su esseri umani (le Investigational New Drug, IND, applications), «l’inclusione dei dati NAM è incoraggiata». L’FDA valuterà poi caso per caso la possibilità di accettare questi dati in sostituzione parziale o totale di test animali. Una dettagliata roadmap approfondisce il percorso che l’agenzia intende intraprendere nei prossimi tre anni.

A partire dagli anticorpi monoclonali

Come accennato, la decisione dell’FDA si concentra, per questa prima fase, sugli anticorpi monoclonali, per i quali è previsto l’avvio di progetti pilota con alcune aziende per usare esclusivamente NAM nei test di sicurezza, sotto stretta supervisione FDA.

La decisione di iniziare questo percorso dagli anticorpi monoclonali non è – ovviamente – casuale: queste proteine biotecnologiche, che trovano ampio impiego in vari campi medici, dall’oncologia al trattamento delle malattie autoimmuni, sono infatti costose e complesse da ottenere. Soprattutto, le risposte immunitarie che determinano negli animali non risultano predittive nell’essere umano. Un esempio emblematico, riportato nel documento dell’FDA, è quello del TGN1412, che era risultato sicuro nei primati e che, come racconta in un articolo uno degli scienziati coinvolti nel suo sviluppo, appariva promettente per il trattamento di malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1 e l’artrite reumatoide. Ma che, giunto alla fase I dei trial clinici, si è rivelato molto tossico per gli umani, nei quali causa una grave risposta infiammatoria sistemica.

Vale la pena ricordare, in questo contesto, che è previsto e intrinseco al processo di valutazione di un potenziale farmaco che la risposta possa essere diversa tra gli umani e gli altri animali: in effetti, tutto il percorso dall’ideazione di un farmaco fino alle fasi sperimentali mira proprio a limitare il rischio di risposte avverse.

Nel lungo termine, la roadmap stilata dall’FDA prevede di basarsi interamente, negli standard sperimentali, sui NAM: l’uso di animali sarà ammesso solo se strettamente necessario e con forte giustificazione. Questa nuova metodologia si estenderà dagli anticorpi monoclonali ad altri farmaci e ai vaccini, con l’obiettivo di migliorare la prevedibilità clinica, abbattere i tempi e i costi di sviluppo e, non da ultimo, tutelare il benessere animale.

IA e NAM

L’FDA indica con precisione le diverse tecnologie e i metodi d’interesse su cui basare questo passaggio. In questo contesto ci limitiamo a riassumerli, indicano i principali:

  • Modelli in vitro umani: organoidi e organi-su-chip (es. fegato, cuore, sistema immunitario) per valutare tossicità e immunogenicità; permettono di osservare risposte biologiche umane realistiche, difficilmente rilevabili negli animali.
  • Modelli in silico e AI: in particolare, modelli farmacocinetici (PBPK) per simulare i processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo, escrezione (ADME) delle sostanze, e strumenti di machine learning per prevedere tossicità, immunogenicità, interazioni off-target. In questo gruppo rientrano anche i sistemi di farmacologia quantitativa (QSP) per modellare vie biologiche complesse.
  • Altre metodologie: come uso tessuti umani ex vivo e test ad alto rendimento su cellule umane. In questo contesto rientrano anche i metodi di microdosing su volontari umani, una tecnica che consiste nel somministrare a volontari umani dosi molto basse (inferiori all’1% della dose terapeutica prevista) di un nuovo farmaco, insufficienti a produrre effetti biologici ma sufficienti a studiarne la farmacocinetica (accoppiate a tecniche di imaging come la PET, permettono infatti anche di tracciare la sostanza nel corpo in tempo reale).

Vale la pena sottolineare, in questo contesto, il ruolo fondamentale che le tecniche di intelligenza artificiale hanno assunto nel contesto della ricerca biomedica. Come commenta anche la pagina Facebook Scienziati, filosofi e altri animali (del cui lavoro di divulgazione abbiamo parlato qui) «Siamo in piena rivoluzione», anche grazie a queste tecnologie. La capacità dell’IA di analizzare enormi volumi di dati clinici, biologici e molecolari consente di modellare comportamenti farmacologici complessi e prevedere effetti tossici o immunogenici con una precisione e velocità impensabili per i metodi tradizionali. Per esempio, modelli predittivi basati su machine learning possono identificare molecole potenzialmente pericolose prima ancora che vengano sintetizzate. Nel contesto della tossicologia, abbiamo anche già visto come oggi l’IA sia di fatto imprescindibile.

Questione di tempo

Porre termine all’uso degli animali è un obiettivo condiviso nel mondo biomedico, e la decisione dell’FDA muove un passo fondamentale in questo senso. Ma non in tutti gli ambiti può essere possibile, almeno non ora: basti pensare che «Ci sono interazioni tra diversi distretti corporei degli organismi viventi che stiamo capendo solo adesso, per esempio quelle tra il sistema nervoso, il sistema immunitario e il microbiota intestinale», come ha commentato il portavoce di Research4Life Giuliano Grignaschi. D’altronde, è importante evidenziare che la decisione dell’FDA riguarda il campo specifico dello sviluppo dei farmaci (nella fase preclinica), non certo l’intero mondo della ricerca biomedica che, lo ricordiamo, comprende molti tipi di studi tra loro diversissimi.

E la stessa FDA prevede contesti, seppur molto specifici, in cui gli animali potranno ancora essere considerati necessari.

Gli esempi degli xenotrapianti d’organo e delle sostanze d’abuso, sui quali in Italia pende un divieto che potrebbe a brevissimo entrare in vigore, sono un possibile esempio di ambito di ricerca nel quale gli animali sono a oggi imprescindibili su molti fronti. Dal nostro punto di vista, la questione etica rimane centrale, in termini tanto di benessere degli animali quanto di tutela dei pazienti. «In Europa abbiamo rinunciato ai test sugli animali per la sperimentazione dei cosmetici non perché li si possa sostituire completamente con altre metodiche, ma perché i cosmetici sono prodotti a basso rischio per la sicurezza di chi li usa e come società accettiamo questo limitato margine di rischio per ragioni etiche. Man mano che le tecniche progrediscono, il rischio si riduce sempre più», conclude Grignaschi.

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