La parola a…

Matteo Caleo: obesità e stress killer di cuore e cervello, lo dimostra la sperimentazione animale

Di 8 Ottobre 2019 Marzo 10th, 2023 Nessun commento

Nutrirsi con alimenti grassi e calorici fa diventare obesi. Vivere in un ambiente stressante, sottoposti alle angherie di capi “dominanti”, danneggia il cervello e aumenta la tendenza all’infarto. Essere in entrambe le situazioni induce addirittura disturbi del comportamento e perdita della memoria.

Se ancora c’erano dubbi su quanto potessero essere dannosi questi stili di vita, sono stati spazzati via dalla ricerca condotta dall’Istituto di Scienze della Vita della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, in collaborazione con la Johns Hopkins University di Baltimora.

Ne parla a Research4Life il dottor Matteo Caleo, ricercatore Associato dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e Professore di Fisiologia all’Università di Padova. “Purtroppo nel mondo occidentale aumentano le persone che consumano il cosiddetto “cibo spazzatura” – afferma – ovvero alimenti a poco prezzo e molto grassi. Allo stesso modo crescono i casi di “burnout” (sindrome da stress NDR) causati dalle situazioni di lavoro. Questi elementi danneggiano cuore e cervello, c’era dunque bisogno di una ricerca che mettesse a punto nuove strategie di protezione multiorgano”.

Con quali strumenti e risultati?

“Abbiamo lavorato su un gruppo di topi e le evidenze di quanto temevamo sono state chiare; i più drammatici fattori di rischio per la salute si combinano – con una evidente comunicazione sull’asse cuore cervello – e portano fino alla neurodegenerazione di aree vitali per il cervello e a danni al cuore. Ma siamo arrivati anche alla definizione del meccanismo molecolare che media queste alterazioni, in particolare una deplezione della neurotrofina BDNF (brain derived neurotrophic factor) a livello del miocardio e del cervello. I nostri studi in corso si propongono quindi di attuare strategie terapeutiche che innalzino i livelli di BDNF in modo da prevenire la degenerazione cellulare”.

Perché la collaborazione con un Istituto statunitense?

“Perché, a proposito di strumenti, negli USA hanno le strumentazioni più avanzate e sono al top per quanto riguarda gli aggiornamenti tecnologici. Da noi in Italia, purtroppo, facciamo fatica ad avere strumentazioni adeguate e, quando ci sono, le dobbiamo condividere tra più enti. Condivido il vostro manifesto “Salviamo la ricerca biomedica”, perché scarsi finanziamenti, burocrazia e modesta attrattività della ricerca italiana rischiano di farci perdere i giovani migliori”.

Siete comunque riusciti ad ottenere ottimi risultati anche a Pisa, con uno studio che è stato pubblicato dalla rivista del prestigioso “The Lancet”…

Si, diciamo che in Italia, forse proprio a causa dello scarso supporto tecnico, siamo molto focalizzati sull’obiettivo e abbiamo imparato a lavorare in autonomia. Ma rimane il fatto che i centri di eccellenza sono pochi e che facciamo fatica a lavorare, anche a causa della deriva antiscientifica del Paese e dell’antagonismo degli animalisti, che dimenticano che il modello animale è fondamentale per il progredire delle conoscenze”.