Un nuovo studio pubblicato su Science Translational Medicine mostra come una capsula orale contenente mRNA sia in grado di superare le barriere digestive e ridurre l’infiammazione intestinale in ratti e maiali. È una strategia innovativa che apre la strada a terapie a mRNA più accessibili e mirate

La pandemia di COVID-19 ha puntato i riflettori sui vaccini a mRNA e, più in generale, ha dato una nuova spinta alla ricerca per le terapie basate su questa molecola. Un breve filamento di RNA messaggero, quello che le cellule usano per produrre specifiche proteine, potrebbe infatti essere la chiave per diversi altri tipi d’interventi terapeutici: non solo preparare l’organismo a un’eventuale infezione come fa il vaccino, dunque, ma anche, per esempio, per indurre la produzione di proteine che sopprimano la crescita di cellule tumorali, oppure che sono presenti in quantità insufficienti, o che modulino una condizione di infiammazione.

Sono sfide che la ricerca biomedica sta attivamente affrontando. Ma c’è un aspetto delle terapie, nuove e vecchie, che rimane spesso un po’ trascurato nella narrazione pubblica: la questione, infatti, a volte non è legata solo al se e come una terapia funziona, ma anche a quale sia il modo migliore per somministrarla. Nel caso delle terapie a mRNA, è sempre la pandemia ad avercele portate a pensare come somministrabili per via endovenosa. Una strategia che può risultare complessa in alcuni contesti: richiede infatti di avere personale formato e di recarsi presso strutture specifiche (siano ospedali o centri ambulatoriali). Non sarebbe utile avere delle terapie somministrabili per via orale, che le persone possano facilmente assumere anche a casa? Certo, e infatti gli studi si stanno concentrando anche su questa possibilità. Con risultati a volte molto positivi: è il caso presentato in un recentissimo studio pubblicato su Science Translational Medicine, nel quale il gruppo di ricerca presenta un innovativo approccio per somministrare terapie a base di mRNA in forma liquida attraverso via orale. Testata su ratti e maiali, la terapia si è dimostrata in grado di superare le barriere fisiologiche del tratto gastrointestinale ed efficace nella riduzione dell’infiammazione.

Una capsula a mRNA

Se l’mRNA potrebbe (e ha dimostrato di) avere potenziali terapeutici decisamente importanti, il modo di usarlo nella pratica clinica non è banale. In effetti, lo sviluppo dello stesso vaccino contro COVID-19 si è basato in realtà su un lungo percorso di ricerca di base. Tra le sfide da affrontare vi è la fragilità di questa molecola, che è molto instabile e viene facilmente degradata nell’organismo: anche per lo sviluppo dei vaccini, infatti, trovare un vettore idoneo che la “recapitasse” alle cellule senza danni è stato un passaggio fondamentale. Le cose si fanno ancora più complesse se la terapia deve essere rivolta all’apparato gastrointestinale, dove l’ambiente acido dello stomaco e gli enzimi digestivi dell’intestino rappresentano una sfida più impegnativa. Eppure, proprio in questo distretto corporeo una terapia a mRNA orale sarebbe particolarmente vantaggiosa, perché è difficile arrivarci per via iniettiva.

Il nuovo studio si è concentrato proprio sulla possibile terapia a mRNA per l’apparato gastrointestinale. In particolare si concentra sulla colite, una condizione di infiammazione della mucosa del colon che può essere dovuta a infezioni, farmaci e vari altri fattori, tra cui le malattie infiammatorie croniche intestinali (come la colite ulcerosa e la malattia di Crohn).

Il gruppo di ricerca ha infatti sviluppato quella che è stata chiamata RNACap: una capsula di gelatina rivestita internamente e protetta da un coating enterico, cioè un rivestimento che si dissolve solo nel pH neutro dell’intestino. All’interno della capsula è contenuto l’mRNA, veicolato da nanoparticelle lipidiche-polimeriche che lo proteggono dalla degradazione e ne migliorano l’assorbimento e il rilascio all’interno delle cellule. La molecola di mRNA codifica per la produzione di interleuchina-10 (IL-10), una molecola che agisce limitando l’infiammazione.

Efficacia e sicurezza, i test su ratti e maiali

I primi test per capire se effettivamente le nanoparticelle riuscissero a far penetrare l’mRNA nelle cellule sono stati condotti su modelli in vitro. Ma, per comprendere se effettivamente l’RNACap riuscisse a ridurre l’infiammazione intestinale, e a farlo senza danni per altri distretti corporei, sono stati necessari i modelli animali. Nello specifico, il gruppo di ricerca ha lavorato su ratti nei quali è stato indotto uno stato infiammatorio intestinale, così da valutare l’efficacia del trattamento, e su maiali sani. Questi ultimi hanno invece permesso di valutare la sicurezza della terapia, la capacità delle capsule di proteggere e rilasciare l’mRNA nell’intestino tenue e, non da ultimo, la distribuzione e l’espressione dell’mRNA nei diversi tipi cellulari intestinali. Vale la pena ricordare, in questo contesto, che l’uso di due diverse specie è una strategia preclinica standard nei progetti traslazionali che mirano all’applicazione umana.

I risultati dello studio hanno mostrato che l’RNACap riesce a liberare rapidamente e far assorbire l’mRNA dalle cellule intestinali, che in seguito producono l’interleuchina antinfiammatoria. Ma, soprattutto, hanno dimostrato che in seguito alla sua produzione si riducono nei ratti i segni di infiammazione: per esempio, diminuisce la perdita di peso, e l’analisi istologica mostra una rigenerazione della mucosa e meno infiltrati infiammatori rispetto al gruppo controllo. Al contempo, nei maiali, che rappresentano un modello più prossimo all’essere umano per via delle somiglianze anatomiche e fisiologiche del tratto gastrointestinale, si è osservata la dissoluzione selettiva dell’RNACap nell’intestino, con rilascio localizzato del contenuto; le proteine codificate dall’mRNA sono state rilevate nella mucosa intestinale, mentre non è stato rilevato alcun segno di tossicità sistemica significativa, né di risposta infiammatoria sistemica.

Insomma, come scrive il gruppo di ricerca questa sembra «una strategia promettente per la somministrazione per via orale di terapie a mRNA per il trattamento di malattie intestinali e potenzialmente di altre condizioni». Potenzialmente, infatti, l’approccio potrebbe permettere anche il trattamento di patologie sistemiche se l’mRNA potesse, dall’apparato gastrointestinale, raggiungere la circolazione sistemica e quindi il resto dell’organismo.

Intanto, l’idea che l’mRNA possa trasformarsi in un farmaco da assumere semplicemente con un bicchiere d’acqua segna un cambio di paradigma nella medicina. Non è infatti solo questione di tecnologia ma, se questi risultati saranno confermati anche nell’essere umano, anche di accessibilità, aderenza terapeutica e sostenibilità dei sistemi sanitari.

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