Non sono ancora state pubblicate le statistiche europee sull’uso degli animali a fini scientifici. Sono però stati pubblicati i dati italiani: vediamo allora gli elementi principali sulla sperimentazione animale nel nostro Paese nel 2023

Quali e quanti animali sono usati per la sperimentazione? I dati relativi all’uso degli animali devono essere regolarmente resi pubblici, almeno nell’Unione europea, in accordo con la Direttiva 2010/63/EU per la protezione degli animali usati a fini scientifici. La Commissione europea produce anche statistiche periodiche che permettono di fare un quadro per sia generale, sia per i singoli Stati membri. Le ultime risalgono allo scorso anno, e contenevano i dati per gli anni 2021 e 2022; in attesa delle prossime pubblicazioni, possiamo intanto iniziare a dare un’occhiata ai dati italiani, pubblicati durante l’estate e relativi al 2023.

Quali specie, quale origine

Guardiamo innanzitutto al totale degli animali usati: 365.130, un dato che conferma il costante calo degli animali usati a fini scientifici nel nostro Paese (e che tiene in considerazione anche gli animali usati per la creazione e il mantenimento di linee geneticamente modificate, che l’UE analizza a parte). Anche approfondendo quali siano le specie più utilizzate i dati confermano quelli degli anni precedenti: si tratta infatti in larga prevalenza di topi, ratti, pollame domestico e zebrafish – una specie, quest’ultima, che trova larghissimo impiego nella ricerca di base e applicata, come abbiamo avuto modo di approfondire anche con alcuni esempi recenti.

Qualche parola va poi spesa sulla provenienza degli animali. Ricordiamo, infatti, che la Direttiva 2010/63/EU richiede di indicarla e promuove l’acquisto da allevatori registrati in UE, per i quali si applicano gli standard di benessere della direttiva stessa. La valutazione è invece più difficile per gli allevamenti extra-EU; inoltre, si distinguono gli allevatori europei ma non registrati (per esempio allevatori comuni di animali da compagnia o da reddito). Per quando riguarda gli animali usati in Italia, la stragrande maggioranza proviene da allevamenti registrati; vengono valutati a parte i dati relativi ai primati, per i quali il tema dell’allevamento è reso ancora più importante dal rischio di prelievi in natura, che minacciano specie già a rischio di estinzione. A questo proposito, dei 143 primati usati nel 2023 in Italia (un macaco rheso e 142 macachi di Giava), la provenienza è quasi esclusivamente asiatica o africana, in proporzioni sovrapponibili. Un dato che, purtroppo, conferma anche quest’anno la difficoltà a stabilire colonie in Europa e la necessità di importare queste specie dall’estero, con la minor possibilità di controllo (nonché il maggior stress per gli animali) che questo comporta.

La finalità delle procedure della sperimentazione animale

Un altro elemento fondamentale che emerge dai dati raccolti è lo scopo scientifico per i quali sono stati utilizzati. “Sperimentazione animale”, infatti, è un termine molto vago che raccoglie in sé molte realtà (e necessità) scientifiche: dalla ricerca di base (lo studio di aspetti biologici, fisiologici, patologici, genetici eccetera) che ha lo scopo di comprendere determinati meccanismi a quella applicata/traslazionale (cioè l’impiego di tali conoscenze, per esempio nella pratica clinica o veterinaria). Ancora, vi sono l’uso a fini regolatori, ossia tutte le procedure richieste per legge, per esempio per testare un farmaco (o anche un mangime); la protezione dell’ambiente (è il caso dei test ecotossicologici per alcuen sostanze chimiche); la conservazione delle specie (per esempio le valutazioni genetiche su specie a rischio); l’istruzione e la formazione (per esempio in ambito chirurgico); le indagini medico-legali (un ambito molto specifico in cui ricadono per esempio le validazioni di metodologie forensi).

Anche in questo caso, i dati italiani non hanno grandi novità rispetto agli anni precedenti: la ricerca, di base e applicata, continua a essere il contesto che più richiede l’uso di animali (bisogna aspettare le statistiche europee per un confronto rispetto agli altri Paesi), seguita dall’uso a fini regolatori, nei quali ricadono peraltro tutti gli usi di primati. Una nota importante nella lettura dei dati: in questo caso a essere conteggiati non sono i singoli animali, ma le procedure in cui sono stati utilizzati.

Gravità delle procedure

Infine, un dato che non possiamo non leggere con particolare attenzione è quello relativo alla gravità delle procedure. Rimandiamo al nostro approfondimento in materia per gli aspetti specifici ma, solo per darne un breve quadro generale per la lettura dei dati, ricordiamo che le procedure sono classificate da lievi a gravi a seconda del dolore e della sofferenza che possono causare. Si va quindi, per esempio, da un test comportamentale o un’iniezione sottocutanea (considerate procedure lievi) a test di tossicità o interventi chirurgici (considerate gravi). Importante anche ricordare che tale classificazione tiene in considerazione anche l’effetto psicologico per l’animale e la somma di tutte le procedure (pertanto, se un animale è sottoposto a diverse procedure lievi, nelle statistiche finali la gravità può essere valutata come più alta). Non recovery, o non risveglio, è infine la dicitura utilizzata per indicare una procedura eseguita in anestesia generale e dalla quale l’animale non viene risvegliato.

Guardando ai dati italiani per il 2023, la maggior parte delle procedure è stata classificata come lieve, sebbene sia consistente anche la percentuale di quelle gravi.

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