Davide Benedetto Tiz è ancora un giovane dottorando presso la Facoltà di Farmacia all’ Università di Lubiana (Slovenia), arrivato in finale a “Falling Walls”, la competizione internazionale tra ricercatori in cui Davide ha presentato il suo progetto sulla resistenza agli antibiotici. La sua idea principale è quella di modificare la dimensione e le cariche delle molecole per poter inibire la replicazione del DNA batterico e quindi debellare i cosiddetti “superbatteri”.

Un’idea che questo giovane talento italiano ha presentato, in soli tre minuti, davanti a una giuria di esperti, riscuotendo successo. Gli abbiamo chiesto di spiegarcela nel dettaglio e di raccontarsi.

Perché questa ricerca contro i “superbatteri”?

Nelle ultime decadi il problema della resistenza agli antibiotici è in costante crescita e parallelamente abbiamo assistito ad una carenza di nuovi antibiotici. Si stima che nel 2050 il numero di morti mondiali causato da resistenza antimicrobica sarà più alto del numero causato dalle diverse forme di tumore.

Particolare attenzione deve essere prestata da medici, farmacisti ed altri operatori sanitari nel prescrivere antibiotici. La loro prescrizione deve avvenire solo in caso di effettiva infezione batterica ed evitata in presenza di forme virali. La donazione di organi, la chemioterapia ed altre operazioni chirurgiche (come il parto cesareo), possono rappresentare un pericolo per la salute umana senza antibiotici efficaci a protezione dalle infezioni. In ambito organizzativo possono essere rafforzati piani di azione nazionali, politiche, programmi, investire nella ricerca, aumentare la sorveglianza, regolamentare l’utilizzo dei medicinali e rendere, quanto più possibile, le informazioni accessibili ad un grande numero di individui.

Insomma, i batteri nel tempo si sono evoluti sotto pressione ambientale determinata dall’eccessivo abuso di antibiotici su umani e animale. In questo senso di parla di “superbatteri”, si sono evoluti diventando più resistenti. Forse sarebbe più opportuno definirli quindi batteri “superkiller”.

In che cosa consiste questa evoluzione?

La loro evoluzione comprende la presenza di “pompe di efflusso” capaci di estrudere l’antibiotico o anche più di un antibiotico. Un altro meccanismo di resistenza è l’alterazione della membrana cosicché l’antibiotico non può diffondere dall’esterno all’interno del procariota.

I batteri che possiedono geni di resistenza sul DNA possono trasferire una copia di questi geni ad altri batteri ad esempio tramite il passaggio di DNA circolare denominato plasmide. I batteri non resistenti che ricevono il nuovo DNA diventano resistenti all’antibiotico. In presenza di antibiotico, solo il batterio resistente sopravvive. I batteri resistenti si moltiplicano e prosperano. In particolare la mia attenzione va sulla struttura e sulle proprietà chimico-fisiche delle molecole. I composti antibatterici posseggono proprietà (dimensioni, cariche) diverse da farmaci canonici quali antinfiammatori o diuretici. Questo perché le cellule batteriche sono diverse da quelle dei mammiferi in quanto a struttura. Nel dettaglio i Gram-positivi presentano sulla loro superficie una parete cellulare protettiva e i Gram-negativi sono ancora più complessi in quanto hanno anche una membrana esterna aggiuntiva.

Nel dettaglio, l’obiettivo della ricerca?

Se il batterio raggira le difese dell’uomo, l’obiettivo deve essere quello di essere noi a raggirare il batterio. Il fine del mio dottorato è che le molecole che preparo siano in grado di inibire l’enzima girasi – un enzima coinvolto nel processo di replicazione batterica – e per far ciò devono essere capaci di penetrare nella cellula batterica. Un fatto importante è l’assenza dell’enzima girasi nel mammifero. Questo significa che la molecola è selettiva per il batterio, limitando così la tossicità sull’essere umano. Sino ad ora sono soddisfatto dei traguardi raggiunti, alcuni dei miei composti sono attivi su batteri Gram-positivi tra cui il MRSA, un batterio killer che causa infezioni a pelle, ma anche meningiti e disordini cardiovascolari. Recentemente, assieme al mio team, siamo riusciti ad ottenere anche buoni risultati contro i Gram-negativi, come Escherichia Coli, Pseudomonas aeruginosa e Klebsiella pneumoniae.

Complimenti, ma purtroppo un altro italiano all’estero….

La mia scelta di studiare in Slovenia deriva dal fatto che nel 2015, un anno dopo essermi laureato in CTF presso l’Università di Trieste, cercavo una posizione di dottorato vista la mia passione per la chimica. Partecipai quindi ad un workshop-recruitment che si tenne all’Aptuit di Verona. Ogni candidato poteva scegliere una destinazione che fosse diversa dal Paese di origine, per stimolare la mobilità dei ricercatori europei. Scelsi la Slovenia per contenuti, interesse per il progetto e anche per la vicinanza. Poi poter praticare l’inglese costantemente è anche un motivo e incentivo al lavorare all’estero.