Qualche tempo fa, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Rolf Zeller, presidente di Animal Research Tomorrow (ART), associazione impegnata nel perseguimento delle 3R e della trasparenza nella ricerca scientifica.

Ogni anno, ART indice gli ART Awards, premi rivolti a giovani ricercatori e ricercatrici allo scopo di sostenere il loro impegno nel raggiungimento delle 3R e nella comunicazione scientifica. A breve si chiuderanno i bandi per candidarsi agli ART Awards 2023 (qui maggiori informazioni): in attesa della valutazione delle proposte, abbiamo voluto farci raccontare da una delle vincitrici dello scorso anno, Francesca Lanzarini, post doc all’Ernst Strüngmann Istitute di Francoforte, del progetto che ha potuto realizzare grazie al premio.

Innanzitutto, puoi raccontarci qualcosa della tua attività di ricerca? Di cosa ti occupi?

Ho una formazione in ecologia e conservazione della natura, ma già durante il dottorato, che ho svolto all’Università di Parma, ho iniziato a occuparmi di etologia cognitiva e neuroscienze. In particolare, ho lavorato su particolari neuroni coinvolti nel controllo del movimento, che studiavamo nei macachi. Questo è un po’ il fil rouge della mia ricerca: oggi, infatti, sono post doc al Laurens Lab del Ernst Strüngmann Istitute, e anche qui studio particolari neuroni che forniscono informazioni sull’orientamento della testa nello spazio, detti head direction cells.

Sempre lavorando sui primati?

Sì, ma in questo caso si tratta di primati della famiglia dei callitricidi, che comprende gli uistitì e i tamarini. La maggior parte della ricerca sul sistema di navigazione spaziale si è svolta in due dimensioni, cioè studiando ratti e topi che si muovevano per esempio in un labirinto. Lavorando con questi primati, in condizioni quanto più possibile simili a quelle naturali, invece, possiamo studiare l’attivazione dei circuiti neuronali in tre dimensioni, quindi per esempio quando l’animale si arrampica o rimane appeso a un ramo a testa in giù.

Puoi raccontarci qualcosa del progetto che ti ha portata a vincere, l’anno scorso, l’ART SciComm 2022, ossia il premio di ART dedicato alla comunicazione? In che modo si ricollega con il tuo lavoro di ricerca?

Ho visto il bando su Twitter verso la fine del mio dottorato in Italia, e ho pensato a quante colleghe e colleghi conoscevo che lavoravano con modelli animali molto diversi da quelli su cui lavoro io, dagli insetti ai pesci. Così, ho cominciato a riflettere che conoscere il loro lavoro poteva essere interessante, e non solo per le persone al di fuori dei laboratori ma anche per chi, pur facendo ricerca sui modelli animali, conosce specie diverse. È nata così l’idea di proporre un podcast che, attraverso interviste a ricercatori e ricercatrici, portasse a raccontare cosa significa lavorare con particolari animali nell’ambito delle neuroscienze: quali metodologie si usano, quali sono le necessità, per quali aspetti di studio si scelgono e così via. Il tutto mantenendo il tono di una chiacchierata di scienza tra amici: con un linguaggio semplice, non didascalico, che fosse comprensibili anche tra chi lavora in altri campi.

E sei riuscita a realizzare il progetto?

Sì, ormai è quasi alla sua conclusione: ho realizzato tre episodi del podcast, disponibili su Spreaker, Spotify e Google Podcast, sulle specie più impiegate nella ricerca scientifica, procedendo in ordine… diciamo filogenetico! La prima puntata di How animals’ brain works è stata quindi dedicata a Drosophila, il moscerino della frutta, di cui ho parlato con Hanna Schweizer, dottoranda al Friedrich Miescher Institute for Biomedical Research. Sono poi passata allo zebrafish, e Luigi Petrucco, post doc nella sede di Rovereto dell’IIT, mi ha raccontato aspetti tutt’altro che banali su cosa significhi lavorare con animali che devono essere manipolati in un ambiente acquatico… L’ultima puntata uscita era dedicata ai ratti, di cui ho parlato con Juan Ignacio Sanguinetti Scheck, post doc alla Harvard University. A breve registrerò l’ultimo podcast del progetto, stavolta per parlare di primati, quindi di animali con cui io stessa lavoro da anni… Ma sarà una chiacchierata con una collega che lavora al German Primate Center di Göttingen, il più grande centro di ricerca europeo sui primati, e che quindi può portare un’esperienza di eccellenza.

Credi che la serie di How animals’ brain works potrà andare avanti?

Ora come ora vorrei innanzitutto terminare questa prima parte, quella cioè prevista nel progetto con cui ho vinto l’ART SciComm. Però poi mi piacerebbe continuare, visto anche l’aumento di ascolti che ho notato nel corso dei mesi, per esempio dedicandomi a specie “inusuali”: ho già alcuni contatti di ricercatori e ricercatrici che lavorano con polpi e pipistrelli!

Dal tuo punto di vista, qual è il vantaggio degli ART Awards? Credi siano un valido supporto per giovani ricercatori e ricercatrici?

Secondo me, in generale puntare sempre di più verso le 3R è importantissimo e c’è sempre spazio di miglioramento, per cui un piccolo fondo da cui attingere, come quello offerto dall’ART 3Rs Award, può aiutare tanto per poter fare un passo in avanti in questa direzione. E, per quanto riguarda la comunicazione, questo tipo di premi può dare anche l’opportunità – com’è accaduto a me – d’imparare qualcosa di più per poterlo comunicare all’esterno. È un elemento fondamentale in un contesto nel quale, non solo in Italia ma anche all’estero, come ho potuto osservare nel corso della mia esperienza, c’è ancora molto dibattito su cosa comunicare e come farlo quando si tratta di temi che riguardano la sperimentazione animale.

Ricordiamo che sono aperti, fino al 15 ottobre, i bandi per candidarsi all’ART 3R Awards (qui tutte le informazioni) e per l’ART SciComm (qui).

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