Andiamo a dare un’occhiata ad alcuni degli elementi principali riguardanti i tipi d’impiego scientifico per il quale, in Unione europea, sono stati usati modelli animali, facendo riferimenti ai dati riportati del report UE pubblicato in estate

Dopo aver parlato del numero di animali impiegati per la prima volta, delle specie più coinvolte e della loro provenienza, continuiamo a dare un’occhiata agli elementi principali che emergono dal report UE sugli animali impiegati a scopo scientifico (i cui dati sono riferiti al 2019) pubblicato quest’estate. Qui alcune delle principali informazioni riguardanti il tipo d’impiego.

La ricerca di base e applicata

Come per gli anni precedenti, anche i dati riferiti al 2019 indicano che la maggior parte dei 10, 6 milioni di animali è stata impiegata a scopo di ricerca, di base e applicata. Da notare che, in questa sezione, il report tiene in considerazione gli animali impiegati per la prima volta (che, come riportato nella prima sezione, conta 10,4 milioni di individui) e i successivi riutilizzi, incentivati dove possibile in linea con il principio delle 3R.

In particolare, riporta il documento europeo, il 45% degli animali è stato impiegato per la ricerca di base e il 27% per quella applicata e traslazionale. Nella prima, oltre la metà degli studi che hanno richiesto il modello animale sono nel campo del sistema nervoso, dell’etologia e del sistema immunitario. Per quanto riguarda la ricerca applicata, invece, la maggior parte degli usi è avvenuta nel campo degli studi sulle malattie animali, il cancro umano, i disordini nervosi e mentali e le malattie infettive umane.

Andando poi a guardare quali specie risultino più coinvolte a seconda del campo di lavoro considerato, si osserva che nella ricerca, sia in quella di base sia in quella applicata, i topi sono i più utilizzati; seguono i pesci e lo zebrafish, considerato a parte rispetto alla categoria dei pesci (nella ricerca di base) e i ratti.

Scopi regolatori, produzione di routine e altri impieghi

In numeri assoluti, evidenzia il report, tra le differenze più significative rispetto agli anni precedenti vi è la leggera diminuzione di animali impiegata a scopi regolatori (-8% rispetto al 2018) e, soprattutto, l’aumento significativo di usi a scopo di conservazione dell’ambiente naturale per la tutela del benessere degli umani e degli animali (+ 176%) e della tutela delle altre specie (+168%).

Per quanto riguarda l’impiego a scopo regolatorio, dal report emerge come il fine sia principalmente la produzione di medicinali a uso umano (61%), seguita da un 18% di usi per la produzione di medicinali a uso veterinario e quindi prodotti chimici industriali; la stragrande maggioranza di questi usi (94%) è stata eseguita per rispondere a quanto previsto dalla regolamentazione UE.

Nell’ambito degli scopi regolatori, i topi rappresentano meno della metà delle specie impiegate; i ratti sono il 26%; seguono il pollame (7%) i pesci e i porcellini d’India. Ancora diversa la situazione per la produzione di routine, che impiega principalmente conigli (44%), seguiti da pollame (20%), topi e pecore.

La categoria degli impieghi per la produzione di routine rappresenta circa il 6% degli animali impiegati a scopi scientifici: la metà circa degli usi è per ottenere i prodotti del sangue, ma il 7% è per la produzione di anticorpi con il metodo delle ascite. Questo merita un breve commento a parte: si tratta di una tecnica invasiva e dolorosa che da anni la comunità scientifica sta cercando di sostituire proprio a causa del dolore e dello stress che causa all’animale. Dopo un aumento dell’impiego nel 2018 (rispetto al 2017), i dati riferiti al 2019 ne segnalano un calo del 35%, segno che gli sforzi profusi iniziano a dare risultati promettenti.

Infine, nella categoria degli altri tipi d’impiego ricadono gli usi per l’alta formazione (per esempio dei chirurghi), per l’acquisizione e il mantenimento delle abilità professionali, la protezione dell’ambiente, la tutela delle specie e le indagini forensi. Il 5% degli impieghi ricade in questa categoria.

La gravità delle procedure

Di pari passo con il tipo d’impiego, il documento UE riporta anche le informazioni riguardanti la gravità delle procedure, cioè come sono state classificate a seconda dello scopo dell’utilizzo del modello animale (qui il nostro approfondimento al riguardo). Tali dati si confermano stabili nel tempo, con il 6% degli usi riportati come non recovery (procedure eseguite con l’animale in anestesia totale e dalle quali l’animale non è risvegliato).

Gli impieghi che hanno richiesto procedure più gravi sono principalmente quelli a scopo regolatorio; anche l’impiego nella ricerca applicata tende a richiedere procedure più gravi rispetto a quelle nella ricerca di base. I contesti che invece vedono le procedure meno gravi sono la conservazione delle specie, e anche la produzione di composti del sangue, l’educazione e la formazione.

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