Quanti e quali animali sono usati per la sperimentazione animale in Italia? A quali scopi? Andiamo a vedere alcuni degli elementi più importanti raccolti nel report europeo che riporta i dati più recenti

Continuiamo la nostra rassegna dedicata alle statistiche sulla sperimentazione animale in UE, riferendoci agli ultimi dati disponibili, riferiti al 2020. Abbiamo già evidenziato alcuni dei punti principali riguardanti le specie coinvolte e la loro provenienza e le categorie d’impiego; ora, prima di riportare i dati sugli animali usati per la creazione e il mantenimento delle linee geneticamente modificati (che sono considerati a parte), diamo un’occhiata alle statistiche nazionali. Come negli anni passati, dunque, guardiamo più da vicino la situazione italiana.

Quanti e quali animali

Ricordiamo innanzitutto che i dati per l’Italia sono raccolti dal Ministero della Salute, in particolare dall’Ufficio 6-Tutela del benessere animale, igiene zootecnica e igiene urbana veterinaria della Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari. Nel 2020, sono stati usati per la prima volta 451.991 animali: questo totale è comprensivo anche degli individui usati per creazione/mantenimento di linee geneticamente modificate ma, senza contare questi ultimi, scende a 443.881. In entrambi i casi, conferma un trend in leggero calo nel corso degli anni.

Proponendo un rapido confronto, possiamo dire che gli animali usati per la prima volta in Italia sono meno di un terzo di quelli impiegati in Germania (1.494.983) e Francia (1.477.344).

Andando a guardare le specie coinvolte, in Italia, in linea con quanto avviene nel resto dell’UE, i topi sono oltre la metà degli animali impiegati per la sperimentazione; seguono i ratti e, in percentuali via via decrescenti, altre specie.

Categorie d’impiego

I dati raccolti indicano che, in Italia, gli animali sono impiegati soprattutto a scopo regolatorio, cioè per quell’insieme di test che consentono di eseguire i controlli, sulle sostanze per esempio di efficacia e tossicità, previsti dalla normativa. In questo senso, il nostro Paese si discosta dalle statistiche europee, che indicano come sia soprattutto la ricerca (di base e applicata/traslazionale) a usare la maggior parte degli animali (si veda di seguito il confronto con Germania e Francia); ed è anche un dato che può far riflettere. Come avevamo già evidenziato lo scorso anno, infatti, questo è un segnale dello scarso investimento, a livello nazionale, nei confronti della ricerca.

Utilizzi e riutilizzi

Chiudiamo la rassegna dei dati italiani con due parole sul riutilizzo degli animali. La ricerca scientifica e la sperimentazione animale in UE sono infatti guidate dal principio delle 3R, sigla che sta per Replace, Reduce, Refine. In sostanza, ogni procedura e sperimentazione devono cercare di rimpiazzare il modello animale ogni volta possibile (replace), ridurre al minimo il numero di animali utilizzati (reduce) e rifinire pratiche e metodi per ridurne la sofferenza (refine). Posta l’importanza del principio delle 3R, il report europeo, nelle statistiche nazionali, prevede una sezione apposita per i riutilizzi, che consentono di ridurre gli individui impiegati. D’altro canto, però, il riutilizzo può andare a scapito del benessere dell’animale stesso che, sottoposto più volte a una procedura, può risultare stressato o sofferente.

Con questa premessa, guardiamo i dati italiani: si riporta una percentuale di riutilizzi molto limitata, addirittura inferiore all’1% (per il 2019, la percentuale era del 1,31%).

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