L’Italia è tra i principali paesi europei per produzione ed esportazione di farmaci, e questo elemento spiega l’elevata percentuale, sul totale degli animali usati a fini scientifici, di quelli impiegati a scopo regolatorio. Tuttavia, questo è anche un elemento che sottolinea ulteriormente come invece un altro ambito, quello della ricerca, continui a rimanere negletto

Nel corso dei nostri approfondimenti riguardanti le statistiche UE sull’impiego di animali a fini scientifici, abbiamo dedicato un articolo ai dati italiani, riportando i numeri totali degli animali usati, le specie più coinvolte e le categorie d’impiego.

È proprio su quest’ultimo aspetto che vogliamo sottolineare un aspetto in particolare. Se si guardano le percentuali relative all’impiego degli animali nel nostro Paese, si può osservare che circa il 40% è usato a scopo regolatorio. Quest’ultima è la categoria che raccoglie i test e le procedure eseguite per soddisfare la legislazione e la regolamentazione UE per la produzione e il mantenimento di sostanze sul mercato, compresa la valutazione di sicurezza e rischio per alimenti a uso umano e mangimi.

Rispetto ad altri Paesi, la percentuale italiana è piuttosto alta: per esempio, in Francia la percentuale di animali usata a scopo regolatorio non arriva al 35%, e in Germania è intorno al 24%. Come mai?

In effetti, l’Italia è diventata, soprattutto negli ultimi anni, tra i principali poli farmaceutici al mondo. I dati analizzati da Farmindustria e pubblicati a luglio di quest’anno (qui il report completo) indicano che l’export di farmaci della nostra penisola è «Cresciuto negli ultimi 10 anni a ritmi superiori a quelli della media UE e dei principali Paesi (+176% rispetto a +141% media UE). La crescita del valore medio dell’export, delle domande di brevetto negli ultimi 3 anni e il livello di produttività pari, o addirittura superiore a quello della Germania, sono la prova dell’innovatività delle produzioni in Italia, che ha determinato un surplus estero di medicinali e vaccini pari a 12 miliardi di euro nel 2022 e 24 miliardi di euro considerando l’ultimo triennio».

Questa ricca produzione di farmaci sul nostro territorio implica quindi, di conseguenza, anche la necessità di modelli animali sui quali eseguire le varie valutazioni richieste per legge, e spiega l’elevata percentuale di animali per questa specifica categoria d’impiego. Da questa considerazione, però, riteniamo importante derivarne anche un’altra.

Se infatti i modelli animali trovano ampio impiego degli usi a scopo regolatorio, non si può dire altrettanto per quanto riguarda la ricerca, sia di base sia applicata/traslazionale. Secondo i dati europei, infatti, in Italia l’uso di animali per la ricerca di base non arriva al 30%, mentre per la Germania è oltre il 50%. E il dato diventa ancora più significativo se si tiene in considerazione che, andando a guardare i numeri assoluti di animali usati per la prima volta nel 2020 (l’anno per il quale sono disponibili i dati più recenti), in Italia questi sono decisamente bassi: come avevamo sottolineato nel nostro approfondimento, parliamo di circa un terzo rispetto a Francia e Germania.

In sintesi, usiamo pochi animali rispetto ad altri Paesi UE e, di questi, la maggior parte è richiesta per soddisfare i requisiti di legge sui prodotti commerciali, quali i farmaci. «È un tema cui abbiamo accennato in più di un’occasione, ma vale la pena ribadirlo guardando i dati più recenti che abbiamo a disposizione. Questi, infatti, indicano chiaramente quanto poco l’Italia investa sul mondo della ricerca: e se essere tra i primi siti per produzione di farmaci in UE è senz’altro un valore importante, in termini economici, non possiamo non evidenziare che lo scarso investimento sulla ricerca italiana non fa che contribuire alla “fuga dei cervelli”, rendendoci poco competitivi nell’ambito che rappresenta la base essenziale per qualsiasi sviluppo in ambito biomedico», commenta in conclusione Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life.

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