È partito a gennaio un progetto europeo dedicato a identificare firme molecolari precoci per il tumore al pancreas, uno dei più aggressivi e con prognosi peggiore. Testando tecnologie innovative su un modello animale, un topo geneticamente modificato, il gruppo di ricerca cercherà nei prossimi quattro anni di individuare le prime fasi di sviluppo del cancro

Se per molte forme tumorali gli screening sviluppati nel tempo hanno permesso diagnosi precoci e trattamenti, di conseguenza, più tempestivi ed efficaci, questo non vale per l’adenocarcinoma al pancreas, uno dei tumori più gravi e con maggior mortalità. Individuare il cancro al pancreas nelle sue fasi precoci è dunque una sfida cruciale per la ricerca biomedica; sfida accolta ora anche da LaserBlood, un progetto europeo iniziato quest’anno e che vede coinvolti diversi enti nazionali ed europei.

Il tumore al pancreas e la ricerca di firme molecolari precoci

Per il tumore al pancreas, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è appena del 10%, e scende a meno dell’1% dopo dieci anni. Purtroppo, questa forma tumorale non è caratterizzata solo dall’elevata mortalità ma anche da una diffusione in crescita: nella sola Italia, i dati più recenti indicano 14.500 nuovi casi nel 2022. I fattori ambientali che contribuiscono ad aumentarne il rischio sono diversi e, tra quelli per i quali il rischio aumentato è ben documentato, vi sono il fumo, l’età e l’obesità.
Il mondo medico definisce a volte il tumore al pancreas come una “malattia silente”, perché i sintomi iniziano di solito a manifestarsi quando ormai il cancro è ormai avanzato. Possiamo arrivare a identificarlo prima, in una fase precoce? E come?

Identificare firme molecolari associato all’insorgenza di un tumore non è una questione banale, perché implica l’avere a disposizione strumenti per intercettare le modificazioni delle molecole coinvolte nel processo. Ma non è certo possibile, né tantomeno etico, testare le persone sane, aspettando che alcune di esse sviluppino la malattia e cercando poi di stabilire quali marcatori possano fare da segnale per la sua comparsa.

Il ruolo delle nanotecnologie

È qui che entra in gioco LaserBlood. Finanziato dal programma European Innovation Council e guidato dalla startup italiana FLIM LABS, il progetto si propone appunto di identificare firme molecolari in grado d’indicare l’insorgenza di tumore al pancreas fin dalle sue fasi più precoci. Come?

Tutto parte dalla possibilità di raccogliere molecole che possano essere indicatrici dello sviluppo di un tumore. Questo è reso possibile dall’uso di nanoparticelle: il gruppo di fisici diretto da Daniela Pozzi e Giulio Caracciolo del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Roma La Sapienza, partner del progetto, avevano dimostrato nel 2021 che specifiche nanoparticelle, messe in contatto con un liquido biologico come il plasma, sono in grado di agire come microscopiche spugne, o “aggregatori” di molecole, che possono poi essere analizzate. «Non solo,» spiegano Pozzi e Caracciolo, «lo strato di molecole che si forma intorno alle nanoparticelle, detto corona proteica, è specifico a seconda del materiale usato e della persona e si altera in presenza di una malattia».

Il problema, però, è che nel caso del tumore al pancreas mancano le diagnosi precoci, per cui pur potendo “catturare” molecole marcatrici del tumore conclamato non abbiamo modo di capire quali siano quelle identificative delle prime fasi di sviluppo. Inoltre, è tecnicamente molto difficile condurre una misurazione diretta della composizione della corona proteica.

Il topo geneticamente modificato per ricapitolare la malattia

La soluzione al primo problema è nell’uso di un modello animale, cioè di topi geneticamente modificati che permettono di ricapitolare lo sviluppo della malattia. «Diversi anni fa abbiamo sviluppato un modello di topo nel quale tutte le cellule proliferanti, cioè quelle di tessuti nei quali vi è moltiplicazione cellulare (per esempio testicoli, milza, midollo osseo), producevano un enzima detto luciferasi. Quando poi nell’animale viene iniettata una sostanza detta luciferina, queste cellule iniziano a emettere luce», spiega Giulia Piaggio, biologa molecolare dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, ente partner del progetto. «La proliferazione incontrollata è uno dei primi passaggi della trasformazione delle cellule da sane a tumorali. Questi tracciatori luminosi delle cellule del topo ci permettono dunque d’intercettare fasi molto precoci della trasformazione tumorale. Naturalmente, questo non è sufficiente: per avere un modello della malattia umana ci servono anche animali che la sviluppano. In letteratura era già stata descritta una linea di topi geneticamente modificati per sviluppare il tumore al pancreas: incrociandola con la nostra, abbiamo messo a punto un modello nel quale il tumore si forma e il suo sviluppo può essere seguito grazie alla bioluminescenza (la stessa delle lucciole), tracciandone le fasi precoci».

È dunque sui topi geneticamente modificati che sarà possibile testare la tecnologia del progetto LaserBlood per l’identificazione della firma molecolare associata allo sviluppo del tumore: «Raccoglieremo il sangue da questi topi durante tutto il percorso di sviluppo del cancro: prima dello sviluppo tumorale, all’inizio dell’emissione luminosa e a tumore conclamato» spiega Piaggio.

Pensando all’applicazione clinica

La soluzione al secondo problema è nell’uso della tecnologia sviluppata dalla start-up FLIM LABS, coordinata dal bioingegnere Alessandro Rossetta. «Per quanto riguarda l’analisi delle componenti del sangue, l’idea che sarà portata avanti dal progetto è basarsi su un innovativo sistema messo a punto in collaborazione con i fisici della Sapienza e basato sulla fluorescenza. Se riusciamo a identificare specifiche firme molecolari nei diversi momenti della malattia l’uso di questa tecnologia apre poi la strada all’applicazione clinica, perché molto meno complessa rispetto alle analisi classiche», spiega Rossetta.

Naturalmente non è detto che le firme identificate nel topo risultino presenti poi anche nell’essere umano. Infatti, in una seconda parte del progetto due gruppi di chirurghi oncologi pancreatici, uno italiano della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, diretto da Damiano Caputo, e uno tedesco dell’Università di Erlangen Norimberga, diretto da Christian Pilarsky e Robert Grutzmann, testeranno la metodologia sulla nostra specie. «Quello che faremo inizialmente sarà di cercare i marcatori identificati nel sangue dei topi, nel sangue di persone a rischio, per esempio soggetti affetti da patologie cistiche che potrebbero evolvere in una forma maligna», spiega Caputo.

L’obiettivo di questo progetto è ambizioso, ma il possibile impatto che i risultati positivi avrebbero sui pazienti sono incalcolabili. «Ed è per questo un valido esempio di quanto siano ancora importanti gli animali nella ricerca preclinica», conclude Piaggio.

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