In partenza quest’anno, il progetto Dinamica 2.0 mira a impiegare materiali biomimetici, che simulano il tessuto osseo umano, per il trasporto e la somministrazione dei farmaci per il trattamento delle metastasi ossee, unendo così la terapia farmacologica alla presenza di una struttura di supporto per l’osso danneggiato dal tumore

Una strategia che accoppia la terapia alla mitigazione del danno: è l’idea alla base del progetto Dinamica 2.0, dedicato alle metastasi ossee e guidato dall’IRST Dino Amadori IRCCS. Il progetto, proseguimento del precedente Dinamica, unisce competenze fortemente multidisciplinari: ce ne siamo fatti raccontare strategia e obiettivi.

Metastasi ossee, la necessità di trattamenti mirati e strutture di supporto

«I tumori che originano direttamente nell’osso, cioè primitivi, sono relativamente rari: in Italia, si parla di circa 350 casi all’anno. I numeri cambiano però in modo sostanziale quando si guardano i dati riguardanti i tumori ossei secondari, quelli derivanti da metastasi di tumori originati in altre sedi: in questo caso, si tratta di circa 35.000 casi all’anno solo per la nostra nazione», spiegano Claudia Cocchi e Chiara Liverani, ricercatrici della Unit Preclinic and Osteoncology – Laboratorio di Bioscienze IRST e rispettivamente responsabile scientifica del progetto e coordinatrice dell’equipe. «In molti casi, sappiamo che le metastasi di tumori in determinate sedi hanno maggiori probabilità di svilupparsi a partire da specifici organi primari. Nel caso delle metastasi ossee, sono cinque i tumori più frequentemente responsabili: mammella, prostata, polmone, tiroide e reni. Tutti tumori, purtroppo, molto diffusi – e questo spiega, in parte, perché le metastasi ossee registrino numeri così alti».

Quando un tumore attacca l’osso, ne causa un forte indebolimento associato a diverse complicazioni, fra cui fratture patologiche e il dolore difficilmente controllabile, che peggiorano in modo sostanziale la qualità della vita dei pazienti. Le terapie attualmente disponibili sono volte principalmente ad arrestare gli squilibri che il tumore causa nelle dinamiche fisiologiche di riassorbimento e ricostruzione dell’osso. Quest’ultimo, infatti, è di norma sottoposto a un rimodellamento continuo nel quale specifiche cellule (gli osteoclasti) riassorbono il tessuto, mentre altre (gli osteoblasti) ne producono di nuovo. In condizioni fisiologiche, l’attività dei due tipi cellulari mantiene stabile l’osso; in presenza di tumore, invece, si perde l’equilibrio e si può verificare il deposito di nuovo tessuto osseo o un’eccessiva distruzione di quello presente.

«Abbiamo a disposizione alcune terapie volte a bloccare proprio queste dinamiche alterate, per esempio inibendo l’azione degli osteoclasti che riassorbono l’osso. Tuttavia, le terapie attualmente disponibili non sempre riescono ad andare incontro a tutte le necessità dei pazienti. In particolare, sarebbe importante riuscire ad intervenire anche per ovviare alla distruzione dell’osso che si verifica: in altre parole, una struttura che sostenga l’osso debilitato», continuano le ricercatrici.

Dinamica 2.0: un progetto tra medicina, biologia e scienze dei materiali

Il principio alla base di Dinamica 2.0 è proprio questo: unire la necessità di una struttura di sostegno a una somministrazione mirata dei farmaci per il trattamento loco-regionale. Il progetto si concentra sulla fase preclinica di studio, condotta in collaborazione con il consorzio tra cui il Tecnopolo di Mirandola e l’Istituto Ortopedico Rizzoli, consolidando i risultati ottenuti nel corso del precedente Dinamica e portandoli di qualche passo più vicini ai pazienti attraverso a una fase di test su modelli di topo per valutare, a livello preliminare, l’efficacia della terapia farmacologica. «È da sottolineare che, al momento, lavoreremo con impianti sottocutanei nel topo, non con modelli animali che simulano la metastasi ossea: questi dati preliminari ci serviranno comunque per avere informazioni sulla tossicità del farmaco», spiegano Cocchi e Liverani. «A questo, secondo il principio delle 3R (Replacement Refinement and Reduction), svolgeremo molti test che non richiedano l’uso di animali, basati sull’uso della membrana corio-allantoidea. Si tratta della struttura, analoga alla placenta dei mammiferi, che si sviluppa nelle uova degli uccelli e dei rettili: quella del pollo è molto usata nello studio del cancro, perché è possibile impiantarvi delle cellule tumorali umane e valutarvi, tra le altre cose, la risposta ai farmaci».

Oltre ai farmaci, la seconda componente chiave del progetto è l’impiego di un biomateriale – ovvero un materiale progettato per favorire la rigenerazione dei tessuti danneggiati del corpo umano – che funga contemporaneamente da supporto per l’osso indebolito e da “trasportatore” per farmaci. «Nel caso di questo progetto, stiamo lavorando allo sviluppo di un cemento osseo, cioè un biomateriale che, come qualunque altro cemento, si prepara miscelando una polvere e un liquido. Più in dettaglio, la nostra polvere comprende minerali a base di fosfati di calcio che, una volta uniti al liquido, si trasformano in idrossiapatite, il principale componente minerale delle nostre ossa», spiega Massimiliano Dapporto, ricercatore dell’Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo Sviluppo dei Materiali Ceramici del CNR (CNR-ISSMC), partner del progetto. «Diversamente dai cementi utilizzati oggi in chirurgia ortopedica, che sono in prevalenza di natura polimerica, i nostri cementi si definiscono bioceramici e biomimetici, proprio per l’elevato contenuto di idrossiapatite che favorisce la rigenerazione dell’osso. Inoltre, non sviluppano calore durante l’indurimento e sono progettati per essere iniettabili, caratteristica che consente, quando possibile, di optare per approcci chirurgici percutanei mininvasivi limitando gli svantaggi connessi alla chirurgia convenzionale».

E, sebbene questo materiale presenti alcune limitazioni, per lo più in termini di resistenza meccanica, può comunque essere ottimizzato anche per il trasporto dei farmaci: se guardassimo la superficie di questo cemento osseo con una super lente di ingrandimento, vedremmo infatti una miriade di cristalli nanoscopici quasi intrecciati, così da creare tra loro piccolissimi spazi capaci di “ospitare” anche un farmaco. Questa caratteristica consente al cemento osseo di poter rilasciare il farmaco con gradualità, così da evitare per esempio un rilascio troppo intenso e veloce.

«La possibilità di iniettare questo tipo di cemento osseo all’interno del corpo presenta altri vantaggi», aggiunge Dapporto. «Il rilascio controllato di un farmaco direttamente nella lesione ossea tumorale consente di limitarne gli effetti indesiderati. In più, la resezione chirurgica di un tessuto osseo tumorale può presentare il rischio, in alcuni casi, che piccole quantità di cellule tumorali permangano anche dopo l’intervento: la presenza di un materiale capace di rilasciare un farmaco antitumorale e di supportare il tessuto osseo danneggiato potrebbe mitigare sia il rischio di eventuali recidive di malattia che di fratture ossee secondarie. È questo l’obiettivo principale del consorzio».

Un progetto, quello di Dinamica 2.0, che riunisce quindi profili scientifici multidisciplinari e di alta specializzazione in campo biomedicale, per un’applicazione – il miglioramento della qualità della vita dei pazienti – che potrebbe essere di enorme beneficio per migliaia di persone solo nella nostra penisola.

Nell’immagine di copertina: immagine di microscopia elettronica dei cementi biomimetici del progetto Dinamica 2.0. Foto per gentile concessione di Massimiliano Dapporto, CNR-ISSMC

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