Attualmente, l’Italia è soggetta a una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea per lo scorretto recepimento della Direttiva 2010/63/EU per la tutela degli animali impiegati a fini scientifici. Quali sono i principali punti contestati, e a che punto è la procedura d’infrazione? Raccogliamo qui gli elementi principali per dare un quadro sintetico della situazione

Per tutelare gli animali impiegati a fini scientifici – quelli coinvolti, cioè, nelle sperimentazioni – l’Unione europea segue una direttiva specifica, tra le più avanzate al mondo. Si tratta della Direttiva 2010/63/EU che, conciliando le necessità della ricerca con il benessere degli animali, definisce i requisiti minimi per il loro impiego, ma anche la cura e la stabulazione.

Si tratta di un testo vasto e completo, che definisce gli obblighi e i doveri riguardanti i diversi aspetti della gestione degli animali da laboratorio, così da limitarne al minimo stress e sofferenza: dall’approvazione di un progetto che ne prevede l’impiego ai metodi di soppressione; dalla definizione delle procedure e della loro gravità alle autorizzazioni e alla documentazione necessaria per allevatori, fornitori e utilizzatori degli animali. La direttiva, entrata in vigore nel 2013, prevede anche le misure di trasparenza sulla sperimentazione animale: per esempio, è in accordo con la direttiva che gli Stati membri raccolgono e condividono ogni anno i dati relativi all’utilizzo nazionale di animali da laboratorio, dati impiegati per l’elaborazione di statistiche pubbliche annuali (ne riportiamo regolarmente gli elementi principali: qui gli approfondimenti per gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2020).

In Italia, la direttiva EU è stata recepita con il decreto legislativo 26/2014. Come abbiamo avuto occasione di scrivere diverse volte sul nostro sito, la legge italiana ha però introdotto delle misure più stringenti rispetto alla già molto completa direttiva europea. Purtroppo, queste misure determinano limiti significativi per il mondo della ricerca, anche in termini di competitività internazionale, e, più grave ma conseguente, per tutte le persone che potrebbero beneficiare dei risultati – a partire da chi soffre di malattie per le quali non è ancora disponibile una cura, e per le quali lo studio non può a oggi fare a meno dei modelli animali. Inoltre, questa decisione ha determinato l’apertura di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, che in breve rappresenta un procedimento volto a sanzionare il mancato rispetto degli obblighi derivanti dai trattati, dagli atti vincolanti e dagli accordi internazionali stipulati. La procedura è al momento in via di definizione.

Sono circa 60 i punti contestati dalla Commissione europea per mancanza di conformità alla direttiva; tuttavia, due sono i punti di maggiore criticità. Qui vogliamo darne un quadro quanto più possibile chiaro e sintetico, mettendone soprattutto in luce le implicazioni.

Il divieto di allevamento di cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione

Cani, gatti e primati sono animali cui l’Unione europea presta particolare attenzione per quanto riguarda la sperimentazione, pur rappresentando una percentuale molto limitata delle specie impiegate (lo 0,2% nel 2020). Si parla infatti di specie di particular public concern, sulle quali l’attenzione pubblica tende a essere maggiore. La ragione è la maggior sensibilità nei confronti di animali d’affezione quali cani e gatti, e per la vicinanza filogenetica che abbiamo con i primati. Per questi ultimi, inoltre, va sottolineato che alcune specie, tra cui alcune di grande importanza per la sperimentazione, sono a rischio di estinzione: le necessità della ricerca devono dunque anche conciliarsi con quelle della conservazione (al tema abbiamo dedicato uno specifico approfondimento).

In Italia, l’articolo 10 del d.lgs 26/2014 vieta l’allevamento di questi animali a fini scientifici. Significa che sono assolutamente leciti, ovviamente, gli allevamenti di cani e gatti a fini commerciali (per esempio di specifiche razze), ma non è possibile allevarli per impiegarli poi in progetti di ricerca scientifica.

Al di là delle ragioni che hanno portato al divieto, il problema è che questo entra in conflitto con quanto previsto a livello europeo. Anzi, al cuore stesso della direttiva, perché si contrappone al principio di rispetto per il benessere psicofisico degli animali: infatti, vietandone l’allevamento (ma non l’utilizzo), i centri di ricerca italiani che hanno bisogno di queste specie sono obbligati a importarle dall’estero. A sua volta, questo implica per gli animali lo stress aggiuntivo del viaggio, del trasporto e del cambio di ambiente; a ciò, si aggiungono costi aggiuntivi per la ricerca.

Inoltre, vale la pena specificare che la direttiva UE impone che tutti gli animali impiegati a fini scientifici provengano da allevamenti autorizzati, quindi facilmente ispezionabili, nei quali si possano verificare le condizioni in cui sono tenuti gli animali; vieta, inoltre, il prelievo in natura. I controlli sugli allevamenti sono però inevitabilmente più complessi all’estero, in particolare per quanto riguarda i paesi extra-UE: come avevamo raccontato, in effetti, è già avvenuto che si verifichino, per esempio, casi di falsa documentazione sulla provenienza degli animali.

Il divieto di sperimentazione per gli xenotrapianti d’organo e le sostanze d’abuso

L’articolo 5 del decreto italiano vieta l’impiego di animali per la ricerca in merito agli xenotrapianti d’organo e alle sostanze d’abuso. Cosa significa e cosa implica il divieto?

Innanzitutto, riassumiamo in breve i due contesti di ricerca. Gli xenotrapianti sono i trapianti di organi o tessuti tra due specie diverse: è quanto avviene, per esempio, nel caso di alcuni trapianti di valvole cardiache nei quali si usano tessuti suini o bovini. L’idea dello xenotrapianto d’organo nasce dalla necessità di rispondere all’enorme domanda di trapianti, per la quale però non sono disponibili sufficienti organi. Nella sola Italia, per esempio, la lista d’attesa del Sistema Informativo Trapianti riporta, a novembre 2023, 7.961 pazienti che si sono iscritti a programmi di trapianto, con tempi d’attesa che vanno da un minimo di un anno e sette mesi fino a sette anni. Inoltre, alcuni pazienti hanno bisogno di trapianto combinato, per cui in realtà le iscrizioni ai programmi di trapianto sono oltre 9.000. A questa situazione, la ricerca sta cercando di rispondere appunto con lo xenotrapianto, cioè studiando strategie che permettano di rendere idonei e compatibili gli organi di altre specie con la nostra, riducendo il rischio di rigetto e la trasmissione di virus specie-specifici.

Oltre a limitare la competitività della ricerca italiana, il divieto di sperimentazione animale per gli xenotrapianti d’organo rappresenta un possibile, significativo danno per tutti i pazienti che hanno bisogno di un trapianto, quindi di un intervento salvavita insostituibile con altre strategie terapeutiche.

Per quanto riguarda le sostanze d’abuso, va precisato da subito che non riguardano solo quelle definite genericamente “droghe” e la dipendenza: invece, la ricerca sulle proprietà d’abuso delle sostanze è richiesta per legge per ogni farmaco e molecola che agisce sul sistema nervoso centrale. Non solo “droghe”, quindi, ma anche analgesici, farmaci oncologici o per il trattamento dei disturbi neurologici e, in breve, ogni prodotto in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e agire sul cervello. Vietare la ricerca in questo campo significa quindi ì impedire sia gli studi sulle dipendenze (problema peraltro non certo di poco conto e con pensanti implicazioni sanitarie e sociali) sia quelli per molte altre malattie.

La procedura d’infrazione: la situazione oggi

La procedura d’infrazione, avviata dall’Unione europea nel 2016, è oggi ancora in via di definizione e non è stata inviata alla Corte di Giustizia. Nel frattempo, la situazione per il mondo della ricerca italiano è rimasta almeno in parte bloccata: infatti, permane il divieto di allevamento di primati, cani e gatti (quelli necessari per i test sono dunque importati dall’estero), mentre i divieti di sperimentazione su sostanze d’abuso e xenotrapianti d’organo sono fin da subito stati sottoposti a moratoria. In poche parole, ciò significa che l’applicazione del divieto è stata rinviata – e questa proroga è avvenuta più volte nel corso degli anni, a partire dal 2014 (entrata in vigore del decreto 26/2014) fino al 2022, quando la più recente moratoria ha differito l’applicazione del divieto al 2025.

Questo, purtroppo, non significa che la ricerca abbia così potuto procedere senza impedimenti: infatti, gli studi scientifici, soprattutto in campi complessi come questi, hanno bisogno di diversi anni per raggiungere i propri obiettivi, e l’incertezza sulla possibilità di continuare il proprio lavoro può essere un limite significativo nella scelta d’intraprendere o meno un progetto di ricerca.

Sempre in merito alla sperimentazione animale per gli studi sugli xenotrapianti d’organo e le sostanze d’abuso, inoltre, vi sono state diverse verifiche da parte del Centro Nazionale di Riferimento sui Metodi Alternativi, l’ente italiano che si occupa della validazione dei metodi alternativi (o complementari) all’impiego di modelli animali. Purtroppo, ma non certo inaspettatamente, tutte le verifiche hanno attestato la mancanza, per ora, di modelli che possano sostituire gli animali in questi ambiti di ricerca.

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